Le previsioni della Commissione europea gelano le speranze dell’Italia su una ripresa sostenuta nel 2015 e nel 2016. Per Bruxelles il nostro Paese crescerà dello 0,6% quest’anno e dell’1,3% l’anno prossimo, molto meno del +2,1% nel 2015 e del +2,5% nel 2016 stimato dal Centro studi di Confindustria la scorsa settimana. La stessa Banca d’Italia si era espressa in termini ottimistici sul futuro del nostro Paese nei prossimi mesi. Per Guido Gentili, editorialista ed ex direttore de Il Sole 24 Ore, «quello per il nostro Paese rimane un quadro difficile, sia perché il rispetto della regola Ue sul debito ci richiede di fare uno sforzo in più, sia perché la situazione generale e in particolare quella della Grecia non facilitano la nostra partita in favore della flessibilità».
Le stime più corrette sono quelle di Confindustria o della Commissione Ue?
Le stime di Confindustria, come anche quelle della Banca d’Italia, erano uscite appena dopo l’annuncio del presidente della Bce Draghi relativo alla manovra del Quantitative easing. Si tratta di dati che prendono in considerazione l’impatto diretto dell’espansione della politica monetaria da parte della Banca centrale europea. Le previsioni della Commissione Ue al contrario non tengono conto di un effetto di trascinamento così forte della manovra della Bce e si attestano su un sentiero molto più prudente.
Non è paradossale che la Commissione Ue decida di ignorare l’intervento della Bce?
Le previsioni della Commissione sono per certi aspetti molto più realistiche, tenuto conto che sulla manovra della Bce incombe il caso della Grecia che complica i conti a tutti e rende il quadro molto più fragile e incerto.
Quanto contano per l’Italia le stime pubblicate ieri?
Le previsioni di ieri sono la base su cui a fine mese si discuterà del giudizio definitivo da dare sulla politica economica impostata dall’Italia con la Legge di stabilità 2015. Questa è la griglia di partenza su cui noi ci giochiamo la partita a Bruxelles.
Resta il fatto che a partire da quest’anno il Pil italiano riprende a salire…
C’è il segno più, ma il dato sul Pil è sempre pari a un +0,6% nel 2015 e a un +1,3% nel 2015. La disoccupazione è stimata al 12,8% nel 2015, un livello comunque molto alto. Infine, il debito pubblico è previsto al 133% nel 2015, per poi incominciare a scendere al 131,9% nel 2016. Da questo punto di vista c’è un piccolo miglioramento rispetto alle previsioni di tre mesi fa, perché allora il debito era stimato al 133,8% nel 2015 e al 132,7% nel 2016.
Il bollettino della Bce ieri ha ricordato che “il rispetto della regola del debito è un requisito vincolante” del Patto di stabilità e di crescita …
Pur registrando un lievissimo miglioramento, noi non possiamo sfuggire alle regole Ue sul debito. E ciò nonostante anche il deficit strutturale, che passa allo 0,6% dallo 0,8% previsto a novembre, sia a sua volta in miglioramento. L’Italia rispetta la clausola che la obbliga a ridurre il deficit strutturale, avendo una differenza tra crescita effettiva e crescita potenziale (output gap) tra il -3% e il -4%.
Lei nel complesso come interpreta tutti questi dati?
Rimane un quadro molto problematico e complicato. Il rispetto delle regole e in particolare quella relativa al debito ci mette nella condizione non soltanto di non rispettare gli impegni presi, ma anche di fare uno sforzo supplementare. La situazione generale continua a essere difficile, anche perché il quadro complessivo a partire dalla Grecia rende meno semplice l’approccio italiano a sostegno della flessibilità. C’è un altro dato che vorrei sottolineare…
Quale?
Ieri è uscito il rapporto dell’ufficio parlamentare di bilancio, l’organo indipendente che serve per certificare i nostri conti anche di fronte alla Commissione Ue. L’ufficio sottolinea un rischio molto forte di aumento della tassazione locale a fronte di una spending review la cui partita è ancora tutta da giocare. Sono quindi diverse le incognite che rendono problematico questo quadro.
Come legge invece le previsioni sulla disoccupazione?
Quello sulla disoccupazione è un dato significativamente molto alto. Il valore del 2015 conferma quello del 2014, pari al 12,8%, e nel 2016 è previsto che arrivi al 12,6%. Anche se un maggior numero di persone troverà lavoro, il tasso storico di disoccupazione rimane a livelli molto elevati.
Per quali motivi?
Le misure del governo a favore dell’occupazione hanno prodotto un effetto ritardato. In questo sentiero di crescita del resto non possiamo immaginare che improvvisamente la disoccupazione scenda di due punti come per effetto di una bacchetta magica. Il ciclo degli investimenti deve ancora riprendersi, siamo ai primi segnali della ripresa, ma in un quadro d’inflazione con il segno meno.
(Pietro Vernizzi)