Secondo diversi analisti, il 2015 potrebbe essere l’anno della ripresa del settore automotive in Europa. Nel resto del mondo, invece, segnali positivi ci sono già stati o non hanno mai cessato di esserci. Lo sanno bene alla Streparava SpA, azienda di Adro (BS) operante nella produzione di componenti per auto, truck, bus, motorbike, macchine movimento terra e applicazioni marine e industriali. Nata nel 1951, oggi ha anche uno stabilimento in Spagna, uno in Brasile e un altro ancora in India e ha già affrontato con successo per due volte un passaggio generazionale, un evento che rappresenta uno dei momenti cruciali della vita di un’azienda.
Il primo era già stato programmato da Angelo Luigi, detto Gino, il patron della Streparava, nel momento in cui aveva liquidato i soci esterni. Suo figlio Pier Luigi, oggi Presidente, racconta che a metà degli anni ’70 aveva cominciato ad avere in mano delle quote dell’azienda, così come sua sorella: «Mio padre all’inizio ne aveva mantenuto l’usufrutto, per cederle poi totalmente. Ho fatto più o meno la stessa cosa coi miei figli, Paolo e Marco: avevo il 60% delle azioni e ho dato il 20% a ciascuno di loro». Un passaggio importante, certo, ma la cosa fondamentale «è decidere chi della famiglia entra in azienda, con quale ruolo e riuscire a far comprendere e a tenere sempre distinti i ruoli di soci e di dipendenti: noi ci siamo riusciti, ma confesso che non è stato semplice, dato che questa è un’azienda che è sempre stata a carattere famigliare».
Dei suoi due figli gemelli, classe 1971, solo Paolo ha deciso di impegnarsi nell’azienda. «In passato – spiega Pier Luigi – per un figlio di imprenditori era quasi impossibile sfuggire al destino di dover entrare in azienda. Oggi si può anche scegliere, perché la situazione attuale è molto più complessa. Richiede più preparazione, ma al contempo i tempi per imparare si sono ridotti moltissimo». E infatti a 23 anni Paolo ha deciso di lasciare l’università, «perché non volevo perdere troppo tempo». Nel suo ateneo, in effetti, non mancavano casi di esami con una sorta di “soglia” massima di studenti che potevano essere promossi. «Devo però dire che il non essere laureato mi ha consentito un approccio verso l’imparare abbastanza sereno: mi sono messo a disposizione con quello che sapevo fare».
Le difficoltà sono arrivate però dopo, quando si è trovato ad affiancare l’allora Direttore generale, «un uomo che si era fatto da solo, poco predisposto all’insegnamento del “mestiere”, anche perché lui stesso non lo aveva imparato da qualcuno. Poi avvertivo anche una sorta di pressione: chiamarsi Streparava, in un’azienda che esiste da molti anni, crea aspettative sul fatto che si facciano sempre le cose giuste. Senza dimenticare che io rappresento la terza generazione e ci sono molti che pensano che sia quella che rovina le aziende».
Una sorta di mito da sfatare, perché in realtà, sottolinea Paolo, nelle aziende è fondamentale il passaggio tra la prima e la seconda generazione: «Se non è fatto bene, gli effetti si vedono anche dopo, con la terza generazione, che difficilmente può evitare il fallimento. Il primo passaggio è sempre più complicato perché chi ha creato l’azienda da zero è il Deus ex machina, determina forte accentramento. Inoltre, se pensiamo agli anni del boom economico italiano, dobbiamo anche considerare che allora era più difficile delegare, la specializzazione delle competenze e dei ruoli era molto inferiore rispetto a oggi, quindi anche il ruolo degli amministratori e dei manager era diverso». Fortuna che alla Streparava, complice anche la complementarietà tra Angelo Luigi (un tecnico) e Pier Luigi (più attento all’aspetto finanziario), le cose sono andate in questo senso benissimo. E a 31 anni Paolo, dopo otto anni di affiancamento, ha potuto prendere il posto del pensionando Direttore generale e cominciare a guidare l’azienda, con il supporto di alcuni dirigenti, competenti per diverse aree.
Anche oggi i ruoli ai vertici della Streparava sono chiari. «Io difficilmente entro nel merito di questioni di carattere operativo», spiega Pier Luigi. «Mi interesso più della parte finanziaria dell’azienda», aggiunge, ricordando che periodicamente avvengono riunioni di aggiornamento e che «fin dai tempi di mio padre facciamo Cda formali: continuiamo a operare come una Spa con soci esterni, anche se non ne abbiamo». Questo non ha comunque evitato delle discussioni. «Con mio padre, come normale che sia, ci siamo confrontati, scontrati. All’inizio ha saputo anche tarparmi le ali e farmi capire quando era il momento giusto, quando avevo competenze adatte, per affrontare le decisioni. Ho fatto degli errori, però poi via via ha visto che poteva fidarsi», ricorda Paolo. «Con mio padre non ho avuto un rapporto facile. Lui riteneva che il figlio non potesse sbagliare, conosceva ogni angolo e ogni persona dell’azienda e pretendeva la stessa cosa da me. Anch’io ho avuto scontri epici, ma ritengo che sia normale. Pensi che mi sono dimesso tre volte. Personalmente mi è stato molto utile l’entrare nel mondo associativo: il confronto con altri imprenditori, in Ucimu come in Confindustria, mi ha aiutato ad avere idee, ad allargare gli orizzonti», aggiunge da parte sua Pier Luigi.
Ma che anche questo passaggio generazionale alla Streparava sia avvenuto con successo lo dimostra l’ultima espansione estera, in India, dove l’azienda bresciana ha sciolto una joint-venture con un’impresa locale per acquisire totalmente gli impianti produttivi. «Io all’inizio non avrei fatto l’operazione che poi abbiamo fatto, ma mio figlio si è impegnato molto, è andato diverse volte in India e devo dire che alla fine ha avuto ragione lui», ammette Pier Luigi. Paolo ci tiene a precisare i numeri di questa operazione: «A luglio 2013 avevamo 1.000 mq di capannone e 67 dipendenti, a gennaio 2014 siamo arrivati a 7.000 mq e 250 dipendenti, nonostante appena acquisito il 100% dell’impianto ci fossimo ritrovati con le dimissioni di tutti i membri della prima linea».
Ma c’è un segreto per far sì che il passaggio generazionale, momento molto critico per le aziende italiane prevalentemente caratterizzate dalla gestione famigliare, possa funzionare? «Oltre a quello che ho già detto sul passaggio tra la prima e la seconda generazione, non si può negare che a volte il problema riguardi la presenza di padri troppo “ingombranti” o che comunque non aiutano i figli. Io ho sempre in mente un dialogo presente nel film “Il Gladiatore”, tra l’Imperatore Marco Aurelio e suo figlio Commodo: “Le tue mancanze come figlio sono il mio fallimento come padre”», spiega Paolo. «Non si può nascondere – aggiunge Pier Luigi – che il fatto che la nostra azienda sia andata bene ha aiutato i due passaggi generazionali. Fondamentale è che ci sia armonia, sostenibilità economica e una certa tranquillità sul futuro. Poi bisogna anche essere fortunati e avere delle persone capaci di capire che se anche si è della famiglia e non si ottiene il posto di comando, perché questo va a chi è più competente, ciò non costituisce un “affronto”. Purtroppo non sempre questo è chiaro. Eppure, dato che un famigliare è anche un socio, egli dovrebbe avere tutto l’interesse a che ci sia qualcuno di competente alla guida dell’azienda. Importante, infine, è muoversi per tempo: noi, per esempio, stiamo già impostando il passaggio alla quarta generazione. Cercheremo di imporci regole ben precise, anche perché ci sono sette nipoti e non è detto che tutti debbano per forza lavorare in azienda o avere lo stesso ruolo».
Certo che da un’azienda che è sul mercato da più di 60 anni, che ha visto il fatturato 2013 (137,5 milioni di euro) aumentare del 14,1% rispetto all’anno precedente sarebbe bello scoprire anche il segreto per continuare a crescere nonostante la crisi. «La ricetta – dice Paolo – secondo me non esiste, anche perché la crisi è molto complessa. Credo che il fatto che la nostra azienda abbia dei valori molto radicati nelle persone, che hanno molto senso di appartenenza, aiuti non poco. Stiamo parlando ormai di 700 persone e alcune ci hanno veramente sorpreso con il loro comportamento e attaccamento all’azienda». «Credo che il fatto che abbiamo sempre fatto i passi che potevamo compiere – aggiunge Pier Luigi – sia fondamentalmente ciò che ci ha permesso di arrivare fin qui. Passando anche attraverso un calo del fatturato del 50% anno su anno, grazie alla dotazione finanziaria che avevamo. Le diverse acquisizioni ce le siamo finanziate noi, non abbiamo mai voluto espanderci a tutti i costi. Mi lasci poi dire che nei periodi di crisi, più che in altri momenti, bisogna mantenere motivate le persone». Paolo su questo punto è molto esplicito: «Non abbiamo mai dato così tanti aumenti come ora. Non a tutti però: si premia chi se lo merita. Le persone che fanno la differenza le conosciamo e puntiamo molto su di loro». I due Streparava, infatti, non dimenticano l’impegno che alcuni dipendenti hanno mostrato, anche andando in India più volte al mese, scegliendo persino di partire la domenica per guadagnare un giorno in loco.
«Con le acquisizioni che abbiamo fatto, negli ultimissimi anni abbiamo cambiato completamente volto». Non possiamo dare torto a Paolo, visto che oltre all’operazione in India, l’anno scorso c’è stata l’acquisizione della Borroni Powertrain. La Streparava cambia, cresce, ma le redini, nonostante gli anni che passano, sembrano essere in buone mani. Anche perché l’obiettivo è ben chiaro: «A differenza del passato, quando fare impresa significava fare utili e interessi personali, oggi vuol dire essere protagonisti del rilancio del Paese, svolgere un ruolo economico ma anche sociale, perché abbiamo una responsabilità verso i nostri dipendenti e verso il Paese tutto. Fare impresa è un onore e un onere al contempo e oggi molte aziende rischiano parecchio capitalizzando nonostante il momento congiunturale. Quando ci presentiamo all’estero poi, questa responsabilità è maggiore, perché siamo ambasciatori nel mondo del saper fare italiano». Come si vede, certi imprenditori sono un esempio e una speranza in più per l’industria italiana.
(Lorenzo Torrisi)