In tre giorni il dollaro ha guadagnato il 4,8% sull’euro. Intanto, nell’eurozona, lo spread tra i Bund tedeschi e i Btp si è assottigliato a soli 85 punti nonostante la formidabile corsa verso il basso dei rendimenti dei titoli di Berlino: martedì sono stati collocati 4 miliardi di Schatze a due anni a tasso sotto zero. È stato solo poco più generoso il Bot a 12 mesi, per cui gli investitori si sono accontentati dello 0,079%. Non preoccupatevi: il fenomeno delle obbligazioni a tasso negativo, quasi un inedito storico (negli Usa, all’inizio del Qe, i rendimenti erano addirittura saliti), non arresterà la ripresa della circolazione del credito, uno degli obiettivi della manovra della Bce. Lo ha spiegato, in un recente convegno dell’Aiaf (l’Associazione italiana degli analisti finanziari) Lorenzo Bini Smaghi, già membro del direttorio della Bce, in procinto di esser nominato presidente di Société Générale. 



“Il meccanismo funziona così – ha detto – Io banca centrale vado dall’istituto x e dico: ti compro i titoli di stato. Lui può non vendere, ma in questo caso non è che il Qe non funzioni, anzi è l’opposto. Siccome io Banca Centrale mi sono impegnato, sono disposto a pagare qualsiasi prezzo. E se il settore privato non è disposto a vendere, vuol dire che i tassi scenderanno ancora di più. Il fatto che in Europa esista un tasso negativo crea un incentivo pazzesco per le banche a comprare di nuovo titoli di Stato e a comprarli a scadenze più lunghe. Cosa succede con il Qe? Io dico alla banca ti compro i tuoi titoli, in cambio ti apro un conto che è remunerato sotto zero e tu ti ritrovi nel bilancio un attivo che è remunerato con un tasso negativo. Ma che succede se vai in un Comitato di Investimenti a proporre di tenere i depositi, per esempio a 0,2%? Ti dicono ma sei matto, cerca di comprare qualcosa che renda di più. L’investitore allora comprerà titoli più rischiosi. Per questo io credo che l’impatto di questo Qe con tassi negativi sarà molto più efficace di quello degli Stati Uniti dove i tassi erano positivi”. 



Insomma, come ha già sottolineato Mario Draghi, il Qe funziona. Il calo dei tassi può valere fino a 6 miliardi di risparmio per il finanziamento del debito pubblico. I benefici per le imprese promettono di essere altrettanto rilevanti. Le utilities, le tlc e le altre aziende che operano sul mercato dei capitali fanno a gara per sostituire con un nuovo prestito a tassi da prefisso telefonico le emissioni sottoscritte negli anni passati, magari sotto la pressione di spread 500 punti base e più. Riprendono fiato anche le famiglie: la conferma arriva dalla ripresa dei mutui immobiliari (+232% già nel 2014) e dalle vendite di auto, con un incremento a doppia cifra. 



E che dire dell’export? L’euro debole è un’ottima carta da giocare nei confronti dell’area dollaro, sia per quel che riguarda i manufatti (lusso, auto, meccanica) che i servizi, a partire dalle prospettive della stagione turistica, Expo incluso. E così via. A leggere le proiezioni in arrivo dai centri studi, si potrebbe immaginare una crescita senz’altro superiore al 2% o qualcosa di più, grazie alla combinazione di tanti fattori fortunati.

In realtà, le stime non vanno oltre l’1% nelle previsioni più ottimistiche. Mentre le indicazioni in arrivo dalla produzione industriale, dall’ammontare delle sofferenze bancarie e dall’andamento dei prestiti bancari, sia in quantità che per le condizioni praticate alle imprese, non segnalano la svolta. La rincorsa, insomma, non prende velocità. E questo alimenta l’inquietudine ben espressa dallo stesso Bini Smaghi: “L’impatto del Qe toglierà o meno l’incentivo a fare riforme? È un po’ il mio timore: se, quando si andrà a valutare l’impatto dell’operazione, ci saranno segnali di allentamento delle riforme, si riaprirà il dibattito nella Banca centrale europea, nel 2016 soprattutto”. 

Il risveglio potrebbe essere durissimo. Il Qe, infatti, dà una mano a Paesi come Italia o Spagna, ma offre una spinta ben superiore alla Germania che, al di là delle proteste della Bundesbank, riceve un formidabile aiuto dal calo del cambio, indispensabile per contrastare sui mercati la concorrenza dell’industria giapponese, in grado di competere con successo con i tedeschi nell’auto, nella chimica e nella meccanica di qualità. Il Qe da solo non servirà a ridurre il gap con l’industria tedesca. Anzi, la forbice, salvo interventi forti sul fronte delle riforme, si allargherà, perché la Germania vanta un’economia più flessibile, più competitiva, più allenata ad affrontare il mercato globale. 

Questo gap non si ridurrà con il Qe, che anzi si sta dimostrando un grande cliente dei Bund, nonostante la scarsa offerta e le condizioni avarissime. Occorre finalmente varare le famose riforme nella consapevolezza che mai come stavolta vale il detto “ora o mai più”. Per queste ragioni merita attenzione l’ennesimo tentativo di dare l’avvio alla spending review dopo il congedo, non molto soft, di Carlo Cottarelli. Il premier Matteo Renzi si è affidato a una coppia autorevole (come del resto lo era Cottarelli): il fido Yoram Gutgeld, scuola Mc Kinsey, che da mesi studia sanità e spese dei Comuni, e Roberto Perotti, economista specializzato nel taglio dei costi della politica, del cattivo utilizzo dei fondi strutturali europei e degli aiuti alle imprese. A loro la “missione impossibile” di ricavare almeno un paio di punti di Pil in tre anni (obiettivo già di Cottarelli).

L’elenco delle cose da fare è ben noto: intervenire sulle partecipate locali, che costano 23 miliardi l’anno; passare da 35 mila a 35 stazioni d’acquisto e appalto pubblico in Italia, eliminando interessi impropri (e spesso illegali); accorpare le forze dell’ordine e di sicurezza; avviare le vendite del patrimonio pubblico immobiliare; intervenire sulle retribuzioni dei dirigenti pubblici e identificare gli esuberi veri nell’impiego pubblico (che stiamo invece ulteriormente gonfiando nella scuola). Dai risparmi potrebbero derivare le risorse necessarie per un vero taglio delle tasse, favorendo il rilancio dei consumi e dell’edilizia, senza cui non esiste ripresa, a nessuna latitudine.

Altrimenti? Il rischio è che, tra chiacchiere e manovre, il tempo passi. Ma allora il risveglio sarà brusco, ancor di più che nel 2008, quando scoprimmo di aver sprecato in spesa corrente, malaffare e corruzione, i benefici del calo dei tassi innescato alla nascita dell’euro.