Mentre il Centro Studi Confindustria (Csc) ha fornito la sua stima per il Pil italiano del primo trimestre (+0,2%), Il Corriere della Sera ipotizza che il Governo Renzi approverà il Documento di economia e finanza (Def) prima di Pasqua, rivedendo al rialzo le previsioni di crescita che per il 2015 sono ferme a +0,6%. E una revisione all’insù del Pil l’ha fatta ieri la Banca centrale spagnola, secondo cui l’economia di Madrid salirà quest’anno del 2,8% dal 2% ipotizzato a dicembre. Non bisogna però dimenticare che se tutto andrà bene la disoccupazione spagnola tenderà al 22% a fine anno. Abbiamo fatto il punto con Francesco Daveri, Professore di Scenari economici all’Università di Parma.



Professore, partiamo anzitutto dalla previsione del Csc. Sembra dirci che la vera ripresa è ancora lontana….

È il dato del primo trimestre e sarebbe giusto salutarlo come il primo positivo. La ripresa sarà graduale perché ci vuole del tempo affinché i movimenti positivi che si sono registrati si traducano in possibilità di spendere dei consumatori e volontà di investire delle imprese. Non dimentichiamoci che circa l’80% del Pil deriva proprio da consumi e investimenti. Per cui se l’export va bene è un’ottima notizia, però le esportazioni danno un contributo al Pil che è comunque limitato. 



Perché consumi e investimenti restano al palo?

Gli investimenti vengono dopo i consumi e questi, malgrado sia stato reso permanente il bonus in busta paga da 80 euro, risentono del fatto che il quadro complessivo della tassazione non è in calo quanto dovrebbe essere. Non dobbiamo infatti dimenticare che all’orizzonte ci sono delle clausole di salvaguardia sull’Iva che sembrano poter scattare, dato che la spesa pubblica è data in aumento nei prossimi anni. Dunque, l’anno prossimo potrebbero esserci più tasse di oggi e questo frena le famiglie, che ancora poi non hanno capito quanto pagheranno di imposte sulla casa.



Dobbiamo quindi aspettare la seconda metà dell’anno, quando sarà passato il periodo critico (maggio-giugno) delle imposte?

In realtà, qualcosa dovremmo già vederlo nel secondo trimestre, quando dovrebbero essere più evidenti gli effetti degli sgravi fiscali sul lavoro partiti da poco e che dovrebbero far ripartire l’occupazione. Il reddito delle famiglie dipende certo dall’andamento dei salari e dell’occupazione, e in questo caso i segnali in Italia sembrano buoni, ma anche da quanto lo Stato poi si trattiene.

Complessivamente che dato si aspetta per il Pil del 2015?

Nell’insieme, i numeri per il 2015 sono finalmente positivi, tuttavia è difficile che ci si scosti in modo consistente da una forbice tra lo 0,5% e l’1%. 

Il Governo con il Def potrebbe rivedere al rialzo la crescita del Pil precedentemente stimata al +0,6%.

Secondo me, la revisione non potrà essere di mezzo punto percentuale come quella di Draghi sull’Eurozona. Credo che sarà dello 0,2-0,3%. Complessivamente arriveremo vicino al +1%.

In Spagna, Paese a cui spesso siamo stati accostati e con cui noi stessi ci confrontiamo, la Banca centrale prevede un Pil al +2,8% per il 2015.

Lì ci sono diversi elementi che hanno aiutato la crescita, in particolare l’aver affrontato i problemi del sistema bancario in modo deciso e usando i fondi europei. Non dobbiamo però dimenticare che la Spagna continua ad avere un elevato tasso di disoccupazione. Quindi è vero che riparte il Pil, ma resta una situazione del mercato del lavoro più difficoltosa della nostra.

 

Ma c’è qualche possibilità di fare meglio del +1% per l’Italia?

Credo che un Paese con un rapporto debito/Pil sopra il 130% faccia fatica a tornare a una rapida crescita. Ci vuole del tempo per ridurre il debito pubblico e per mettere a posto i bilanci delle banche. Finché questo percorso non sarà compiuto, è difficile che le famiglie trovino la voglia e la possibilità di indebitarsi per consumare o acquistare beni durevoli.

 

Sul fronte della riduzione del debito cosa può fare il Governo?

Può accelerare sulle privatizzazioni: qualche contributo potrebbe arrivare, ma è pur sempre limitato. Adesso stiamo avendo anche un risparmio sugli interessi del debito, grazie a uno spread che naviga intorno ai 100 punti base, ma non è scontato che resti lì a lungo. Bisognerebbe quindi fare di più sul lato della spending review, ma questo vuol dire anche accettare un po’ di impopolarità. Al momento, però, mi sembra che non sia la strada scelta dal governo.

 

È possibile invece far qualcosa per il sistema bancario, visto il risultato che ha avuto l’intervento in Spagna?

Per tanto tempo siamo andati avanti col mantra che il sistema bancario italiano era al sicuro, mentre erano gli altri a essere in difficoltà. Poi, anche per il legame a doppio filo tra titolo del debito banche, ci siamo trovati con i bilanci delle banche appesantiti, cosa che ha frenato la ripresa del credito e dell’economia. I riassetti che ora sono in corso nel sistema bancario italiano, anche per via del decreto sulle banche popolari appena convertito in legge, credo che vadano nella giusta direzione di rafforzamento della struttura patrimoniale di istituti gestiti in modo piuttosto statico negli ultimi anni.

 

In Italia può funzionare una bad bank senza garanzia pubblica?

Sembra che le grandi banche si stiano attrezzando per creare autonomamente una bad bank. Penso però che una qualche forma di garanzia pubblica – che non sia totale, ma parziale – sia necessaria per consentire anche alle banche più piccole di intraprendere questa strada. Diversamente resteranno schiacciate sotto il peso dei loro crediti inesigibili, che hanno un valore di mercato molto basso, a causa anche della nostra giustizia civile.

 

(Lorenzo Torrisi)