Giornata di dati e previsioni economiche contrastanti quella di ieri. L’Istat ha fatto sapere che a gennaio, mese in cui la produzione industriale era scesa (-0,7% congiunturale e -2,2% tendenziale), il fatturato dell’industria è sceso dell’1,6% rispetto al mese precedente e del 2,5% su base annua, mentre gli ordini hanno registrato un -3,6% in confronto a dicembre 2014. Il commercio al dettaglio ha fatto invece registrare un aumento mensile dello 0,1% e Confcommercio si sbilancia nel prevedere un Pil al +1,1% nel 2015. Abbiamo chiesto un commento a Francesco Forte, economista ed ex ministro delle Finanze.



Professore, come commenta i dati su fatturato e ordinativi dell’industria?

Si sapeva che avremmo avuto una flessione. È certamente preoccupante il -9% degli ordinativi esteri, che senz’altro dipende dalle tensioni geopolitiche (comprese le sanzioni alla Russia). Evidentemente, poi, la svalutazione dell’euro non è ancora stata catturata dalla dinamica contrattuale: ci si basa ancora su forniture stipulate mesi addietro. È normale, inoltre, che le esportazioni abbiano “tirato un po’ il fiato” dopo gli ultimi mesi ed è altrettanto normale che la flessione maggiore del fatturato si abbia nel settore energetico (-13,6%), visto l’andamento del prezzo del petrolio. Il calo del 2,2% del fatturato dei beni strumentali dà invece ragione a Draghi.



In che senso?

Il Presidente della Bce ha rimarcato il fatto che in Italia gli investimenti pubblici sono insufficienti. E se ci pensiamo bene, in effetti il Governo fa poco per la politiche di investimento. Si è invece occupato molto dei consumi, ma con esiti fallimentari.

Ne è sicuro? Un aumento dei consumi si è registrato a gennaio…

Il bonus da 80 euro in busta paga non ha avuto alcun effetto sulla dinamica della domanda interna, nemmeno dopo la sua stabilizzazione. Al massimo si è avuto qualche acquisto di beni di importazione o l’utilizzo dei soldi in più per ridurre i debiti. L’operazione è completamente fallita, la politica di crescita di questo governo non si vede. Fra un po’ si vedranno gli effetti secondari del Qe, ovvero il ribasso dei tassi di cambio. E il Governo non sta facendo nulla per assecondarli. Si occupa solo di legge anticorruzione, dell’Italicum, dei matrimoni gay: cose che non c’entrano coi problemi centrali della nostra economia o con quelli della politica internazionale.



Il Governo ha però varato il Jobs Act che ha portato all’attivazione nel primo bimestre dell’anno di 79mila contratti a tempo indeterminato in più (+38,4%) rispetto ai primi due mesi del 2014.

Non sappiamo in che misura questi contratti siano o meno sostitutivi di altri contratti. Inoltre, di solito non accade che ci sia prima un aumento dell’occupazione e poi della produzione, ma il contrario. Questo fenomeno va quindi interpretato come effetto degli incentivi offerti (una manovra fiscale costosa) e di un meccanismo giuridico che non risolve comunque il problema della produttività: anche ammesso che il Jobs Act induca ad assumere, non porta ad avere una maggior efficienza produttiva. Non ha quindi effetti strutturali. 

Confcommercio prevede un Pil in crescita dell’1,1% nel 2015. Tra qualche giorno il Governo approverà il Documento di economia e finanza e aggiornerà la stima del +0,6%. Secondo lei, di quanto crescerà l’Italia?

Immagino che avremo un +0,9%, massimo +1%. E sarà l’effetto secondario del Qe di cui dicevo prima, ovvero la svalutazione dell’euro. Non dobbiamo poi dimenticare che in futuro dovremo affrontare il “contraccolpo” del Qe. 

 

Di che cosa si tratta?

Prima o poi i tassi torneranno a salire e se nel frattempo noi non avremo reso sostenibile il rapporto debito/Pil ci troveremo nei guai, perché dovremo pagare di più gli interessi sul debito. Se ora ci culliamo con il 134% del debito/Pil nell’illusione che ciò vada bene avremo un brusco risveglio. Il Governo dovrebbe approfittare di questo periodo per rafforzare le finanze pubbliche, non per stare comodo e preoccuparsi di varare l’Italicum, così da impadronirsi del Paese.

 

Draghi ha detto che il Qe farà crescere l’Italia dell’1% entro il 2016. Viste anche le sue previsioni, ciò significa che il nostro Paese crescerà quasi esclusivamente per merito della Bce.

Certo! Anche se va detto che la svalutazione dell’euro ci aiuterà, mentre la liquidità fornita dalla Bce alle banche non verrà investita in Italia, dove ci sono poche opportunità di investimento, sia pubblico che privato che misto: andrà quindi a finire all’estero.

 

Le previsioni di crescita della Spagna sono del +2,8%. Com’è possibile?

Perché a Madrid hanno fatto la riforma del mercato del lavoro e quindi hanno aumentato la produttività, attirando gli investimenti esteri. 

 

Ma anche l’Italia ha fatto la riforma del mercato del lavoro… 

Il Jobs Act è incompleto. C’è la possibilità di assumere con un forte sconto temporaneo, il diritto a licenziare, ma manca poi un’organizzazione per il ricollocamento. Bisognerebbe quindi completare la riforma e stabilire poi che i contratti di secondo livello prevalgono su quelli nazionali. Certo, fare questo vuol dire stravolgere completamente la concezione dirigistica del Jobs Act. Chissà se Renzi vorrà farlo.

 

(Lorenzo Torrisi)