In questi giorni, il dibattito intorno al Documento di economia e finanza (Def) ha visto scatenarsi una ridda di proposte su come utilizzare il tesoretto (1,6 miliardi) oppure una serie di critiche sull’esistenza o meno dello stesso. Non intendo partecipare a un dibattito impostato in questi termini. Ritengo che sarebbe più utile approcciare il “che fare” da un’altra prospettiva. Innanzitutto, occorre considerare tre fattori di contesto che possono delineare uno scenario positivo. 



In primo luogo, il deprezzamento dell’euro rispetto al dollaro, che realizza una “svalutazione competitiva” capace di spingere le esportazioni; questa aiuta più le imprese italiane rispetto a quelle tedesche, cha hanno una maggior quota di export nell’area euro rispetto alle nostre. In secondo luogo, il prezzo del petrolio mai così basso. Se il prezzo fosse alto, questo fattore annullerebbe, per il peso sull’import, il beneficio del cambio euro/dollaro; col prezzo del greggio basso (che paghiamo in dollari), al contrario, otteniamo un doppio beneficio. Il terzo elemento favorevole consiste nelle politiche della Bce di Mario Draghi, in particolare il Quantitative easing, che consegna al mercato finanziario una liquidità importante. L’essenziale è che questo elemento non venga annullato dalle nuove politiche sulle banche in gestazione a Basilea (la cosiddetta “Basilea 4”) e sulle quali occorre che i governi europei, a cominciare da quello italiano, portino attenzione ed evitino pericolose fughe in avanti.



Detto questo, la questione che va posta seriamente è la seguente: cosa facciamo noi a livello politico per agganciare questa situazione favorevole, indipendente dalla nostra volontà, per non sprecare una “congiunzione astrale” propizia come non mai per uscire (si spera definitivamente) dalla crisi economica?

Parto da una considerazione estremamente semplice, si potrebbe dire quasi banale, ma che a leggere le proposte di questi giorni non è evidentemente scontata. La crescita la realizzano le imprese e su queste occorre puntare. Utilizzare le risorse esistenti per politiche finalizzate ad aumentare il reddito disponibile, oggi sarebbe una mossa comprensibile solo dal punto di vista elettorale, non da quello economico: gli 80 euro dello scorso anno non hanno fatto aumentare i consumi, come prevedibile per chi non si riconosce nelle ricette neokeynesiane. Al contrario, la decontribuzione delle imprese per le assunzioni ha fatto risultare dati positivi. 



Il primo e miglior welfare è il lavoro e il lavoro lo creano le imprese. E le imprese contribuiscono alla crescita quando investono. Occorre dunque mettere le imprese in condizione di farlo. Da questo punto di vista, la priorità assoluta è una norma fiscale che vada in questa direzione: una robusta Dual Income Tax (Dit) che riduca drasticamente le tasse sugli utili reinvestiti (in capitale umano, tecnologico o finanziario). 

Il secondo filone su cui puntare sono le imprese del Mezzogiorno, attraverso il ripristino della “Visco Sud” (cancellata da Tremonti nel 2008), che concedeva un consistente credito di imposta per gli investimenti produttivi al Sud. 

Infine, sempre in un’ottica di politiche capaci di contribuire significativamente alla crescita, occorre intervenire con azioni di stimolo del mercato immobiliare privato attraverso un duplice intervento. Infatti, una delle ragioni principali di arretramento dei consumi interni è l’arresto del mercato immobiliare a causa del fatto che coloro che vorrebbero acquistare una nuova abitazione non possono farlo perché non riescono a vendere l’abitazione in uso. Al tempo stesso il costruito nuovo e invenduto (normalmente in classe energetica A o B) rimane inutilizzato nella disponibilità delle imprese costruttrici che, a loro volta, non avviano per questa ragione nuove iniziative. 

Rimettere in moto il mercato immobiliare attraverso l’incentivazione della permuta attraverso un beneficio fiscale per chi ritira l’usato (azzeramento delle tasse sull’acquisto e credito d’imposta, unitamente all’obbligo di riqualificare dal punto di vista energetico l’usato) consentirebbe di ottenere un forte beneficio per tutto il sistema economico. Infatti, la filiera dell’edilizia è, assieme a quella dell’auto, la più lunga del nostro Paese, ma è anche quella più veloce a mobilitarsi, sia a monte (materiali edili, calcestruzzi, collanti, infissi, ecc.) che a valle (arredi e complementi). Inoltre, incentivare la permuta permetterebbe la riqualificazione del patrimonio immobiliare esistente, contribuendo a limitare il consumo del suolo. 

Un’altra ragione dell’arresto del mercato immobiliare è la prudenza del sistema del credito a concedere mutui, pur in presenza di tassi bassi. Mentre negli anni ante-crisi le banche concedevano mutui con grande- a volte troppa – abbondanza, nell’ultimo periodo si è assistito a un cambio di rotta in senso opposto, nonostante le stesse non abbiano, al momento, problemi di liquidità, anche grazie agli aiuti della Bce. 

La ragione di ciò consiste prevalentemente in due fattori risultanti nel caso di “default” del contraente il mutuo. Il primo elemento è costituito dal fatto che l’istituto di credito, a fronte di un mutuo non più onorato, si trova ad affrontare procedure estremamente lunghe e costose per entrare in possesso del bene ipotecato. In secondo luogo, il default incide sui parametri degli accordi di Basilea 3, creando problematiche in relazione alla patrimonializzazione delle banche stesse. Questa “prudenza” potrebbe essere superata consentendo ai privati, persone fisiche, in particolare ai giovani, di contrarre contratti di leasing per l’acquisto di immobili, applicando agli stessi oneri e benefici fiscali identici a quelli per l’acquisto della casa per il mutuo (Iva al 4% e detrazioni Irpef). Consentendo tale possibilità, gli istituti di credito verrebbero messi nelle condizioni di concedere finanziamenti a quella fascia di richiedenti alla quale sono oggi negati. 

Concludo riprendendo quanto ho espresso in premessa: il problema non è tesoretto o non tesoretto, ma cosa facciamo per la crescita, per non perdere un’occasione straordinariamente propizia per uscire dalla crisi.