L’indice Pmi manifatturiero dell’Italia è cresciuto dal 51,9 di febbraio al 53,3 di marzo, superando le aspettative che erano pari a 52,3. Mentre a livello europeo lo stesso dato sale dal 51 di febbraio al 52,2 di marzo, al di sopra delle previsioni del 51,9. Dati positivi che smentiscono i passi indietro fatti dalla produzione industriale italiana nel mese di gennaio, quando secondo l’Istat è stato registrato un -0,7% su dicembre e un -2,2% rispetto al gennaio 2014. Intanto il Governo prepara il Documento di economia e finanza, che secondo il ministro Padoan sarà il “più espansivo possibile pur rispettando i vincoli di bilancio”. Ne abbiamo parlato con Leonardo Becchetti, professore di Economia politica all’Università Tor Vergata di Roma.
Questo dato positivo sull’indice Pmi è merito del governo italiano o di una condizione internazionale più favorevole?
È assolutamente evidente che la spinta forte, che pesa al 90%, arriva da tre fattori esterni: il Quantitative easing, il cambio e il prezzo del petrolio. Due di questi fattori dipendono dalle scelte di Draghi, anche se bisogna dire che il governo italiano ha spinto molto affinché ci si muovesse in questa direzione. L’Italia però avrebbe dovuto impegnarsi di più per superare gli “spread di economia reale” che ci distanziano dalla Germania.
A che cosa si riferisce nello specifico?
I due punti più urgenti erano la riduzione dei tempi delle cause civili e la banda larga, rispetto a cui il governo è molto in ritardo. Palazzo Chigi ha lavorato di più su altri fronti, in primo luogo sulle riforme istituzionali, con l’obiettivo di aumentare il proprio potere decisionale. Non ha però lavorato con la stessa rapidità ed energia su quelle che erano le urgenze dei ritardi che dovevamo colmare su quei due fronti. L’intervento sulle banche popolari riduce inoltre la capacità di accesso al credito e potrebbe quindi essere addirittura controproducente.
I dati positivi di marzo sono una parentesi o la crescita continuerà?
Come ha detto Draghi, è in corso un effetto ciclico importante determinato dal Quantitative easing che va sfruttato perché è destinato a esaurirsi nel momento in cui le politiche monetarie espansive saranno interrotte. Bisogna quindi approfittare di questo momento favorevole per lavorare anche ad alcuni punti strutturali di difficoltà del nostro Paese.
Per Confcommercio la ripresa nel 2015 sarà dell’1,1%, per il ministro Boschi dello 0,7%. Lei che cosa si aspetta?
Quando forniscono i dati sugli utili, le grandi aziende quotate cercano di orientare in modo prudente le stime per poi sorprendere positivamente gli analisti. Questa strategia è stata più volte dichiarata anche dal ministro Padoan, e personalmente la ritengo corretta. Bisogna saper gestire in modo intelligente le aspettative, perché se le si alimentano eccessivamente poi si producono delle delusioni che possono avere anche effetti molto negativi.
Tra le priorità per l’Italia c’è anche la spending review?
Da questo punto di vista esiste un rischio: occorre essere molto attenti per evitare che la spending review si traduca in un calo della domanda che di per sé produrrebbe effetti recessivi. Se è uno spostamento di risorse da un impiego inefficiente a un altro più efficiente, l’effetto è positivo. Se invece è una mera sottrazione di risorse all’economia reale, allora l’effetto è negativo.
Il lavoro di Cottarelli in quale dei due casi rientra?
Applicare i costi standard significa recuperare delle risorse. Bisogna però vedere con queste risorse che cosa si fa. Lo stesso spreco della Pubblica amministrazione se serve per acquistare beni e servizi da imprese italiane paradossalmente finisce per condizionare positivamente la domanda. Se a fronte di questo spreco che viene recuperato si usano queste risorse in modo intelligente per stimolare consumi e investimenti, allora il saldo di questa iniziativa potrebbe avere segno positivo. Altrimenti finirà per avere un segno negativo.
(Pietro Vernizzi)