“Ref e Prometeia dicono che (la crescita, ndr) sarà dello 0,7% il Cer dello 0,9%. Ciò significa che il dato di consenso è dello 0,8%: non possiamo che partire da qui”. “Non ci dica che tutto è merito del governo. L’euro si è deprezzato, il petrolio costa meno, la Bce ha lanciato il piano d’acquisto di titoli pubblici, o no?” “È anche merito degli italiani. Oggi l’Italia è il primo paese europeo per valore aggiunto in agricoltura. Negli ultimi sei mesi siamo stati secondi alla Spagna per pernottamento di stranieri. Sta finalmente risalendo la fiducia delle famiglie e i consumi aumentano”. Amici lettori, non si tratta di Groucho Marx che traduce per i suoi nipoti i Minima Moralia di Adorno. Sarebbe troppo bello. Si tratta invece dell’intervista che il vice ministro dell’Economia Enrico Morando ha dato a La Stampa lunedì scorso. 



Morando è un gran brav’uomo, viene dalle aspre colline del Piemonte e prima di farsi incantare dai maghi liberisti della finanza recitava brani dei classici del socialismo con spirito indipendente e pieno di coraggio. È un amico, una persona per bene e rara. Per questo è sconcertante vederlo affannarsi su dei decimali di punto e cercare tra i pernottamenti degli stranieri segnali di ripresa economica che invece non si vedono da nessuna parte se non sul fronte dell’occupazione. E anche lì cum grano salis. Ma la cosa più sconcertante è l’uso del termine fiducia. 



Com’è noto, la fiducia è una categoria sociologica che interpreta la caduta dei livelli di tensione e di conflittualità tra i protagonisti degli insediamenti umani in territori, in occupazioni, e in attività volta a volta determinate. Abbassa i costi di transazione e di controllo nelle organizzazioni ed è in definitiva per questa ragione che viene studiata e ricercata. Assai più problematico è usare questa categoria concettuale per misurare gli orientamenti alle azioni in genere classificate come volizioni o propensioni e pratiche acquisitive.

Qui il dibattito scientifico inizia da Simmel e finisce con le teorie dei neuroni a specchio. Da qualche anno questa categoria viene usata nelle analisi di mercato e soprattutto nelle predizioni economiche. Com’è noto, il più grande economista del Novecento sosteneva che queste ultime erano appannaggio solo degli astrologi e non degli economisti. E che gli economisti che si esercitavano in codesta attività erano degli astrologi. Oggi l’astrologia invece è diventata un’arma politica e di costruzione del consenso governativo. 



La ragione non risiede nelle categorie morali dei governanti. Partiamo dall’assunto che questi ultimi sono tutte persone per bene. La ragione di ciò risiede nel fatto che non possiamo più usare la categoria della domanda effettiva per capire l’economia. Perché? Perché la domanda effettiva o aggregata è fatta dall’occupazione, dai consumi e dagli investimenti. Se questi ultimi diminuiscono, l’unico modo per stimolare la crescita è agire su di essi, ma agire su di essi falsifica tutte le tesi liberiste del raggiungimento di un punto di equilibrio nel mercato che coincida con quello della piena occupazione. È proprio qui il punto. Per questo i liberisti oggi imperanti, Morando compreso, non possono più usare la categoria della domanda effettiva. Sono prigionieri di un’ideologia che non la comprende. 

I dati sull’occupazione sembravano in aumento anche se lieve, è vero. Ma è troppo presto per dire se il famoso Jobs Act si è messo in azione. Si tratterebbe di poche decine di migliaia di occupati. Meglio di nulla. E pare che si tratti in larga misura di contratti di precariato vario e composito che sono stati trasformati in contratti a tutele crescenti. Molto bene. Ma questo va messo in relazione con il fatto che i dati sulla produzione industriale e financo sulle esportazioni continuano a essere negativi, così come quelli dei consumi. 

Infatti, sono ora giunti i dati dell’Istat sulla disoccupazione che hanno un valore assai più definitivo e che sono veramente drammatici, soprattutto in riferimento ai giovani e all’occupazione femminile che si avvia a diventare una nuova, drammatica questione. Non basta veder aumentare il numero di coloro che dormono negli alberghi per ipotizzare una crescita della domanda effettiva. 

Il vero problema che si nasconde dietro questo balletto sulle cifre è un altro. Si tratta del tasso di occupazione incorporato nel punto di equilibrio. Orbene: a politiche economiche costantemente ordoliberistiche non potrà che corrispondere un tasso di disoccupazione strutturale permanente certamente oscillante intorno al 15%, con percentuali maggiori se si scende verso l’Europa del sud e i suoi Sud, Mezzogiorno d’Italia e Grecia. Il balletto quindi sui decimi di punto e sulla fiducia non è un balletto, ma una danza macabra.