Il Pil italiano nel primo trimestre 2015 aumenta dello 0,3% rispetto al trimestre precedente e dello 0,1% rispetto al primo trimestre 2014. È quanto emerge dagli ultimi dati Istat, che rilevano come gli investimenti siano cresciuti dell’1,5% e le importazioni dell’1,4%, mentre l’export rimane fermo e i consumi diminuiscono dello 0,1%. Sempre secondo l’Istat, nel secondo trimestre il Pil salirà dello 0,2%, mentre a maggio l’inflazione aumenta dello 0,2% sia rispetto ad aprile che rispetto al maggio 2014. A crescere sono soprattutto i prezzi dei servizi ricreativi, con un +0,9%. Ne abbiamo parlato con Ugo Arrigo, professore di Finanza pubblica all’Università degli Studi di Milano-Bicocca.
Il Pil cresce dello 0,3%. Come valuta questo dato?
Finalmente torniamo ad avere il segno positivo, anche se non basta neppure il +0,2% del secondo trimestre per dire che la crisi è accantonata e che ci troviamo agli inizi di una crescita che ci porterà a recuperare quanto abbiamo perso dal 2008. In base a questi numeri sembriamo essere fuori dalla tendenza recessiva che ci ha accompagnato per sei anni e mezzo.
Eppure non tutte le componenti registrano il segno più…
Se andiamo a vedere le componenti della domanda, l’unico dato veramente positivo è la ripresa degli investimenti. Questi ultimi non sono mai aumentati in modo così netto dalla prima crisi del 2008-2009. Quando ci fu la ripresina nel 2010-2011 gli investimenti infatti rimasero al palo. I principali indicatori della ripresa sono due: l’aumento dei consumi, che in questo caso sono fermi, e quello degli investimenti, che precedono il rilancio della domanda.
Come si spiega questa dicotomia?
Gli imprenditori prevedono che ci sarà una ripresa dei consumi e quindi ricominciano a fare investimenti. Il fatto che i consumi siano fermi al -0,1% non è certo positivo.
L’export invece rimane invariato. Che cosa sta avvenendo?
In questi anni di rigore la nostra economia si è sostenuta grazie all’export. Nel primo trimestre 2015 cresce invece l’import, anche grazie al fatto che il mercato dell’auto torna a dare segnali di vita, e che la produzione di auto è principalmente straniera. Da questi dati emerge quindi una situazione ambigua, in cui il dato positivo sugli investimenti è smentito da quello sui consumi.
Secondo lei, verso quale scenario stiamo andando?
Tempo fa avevo usato una metafora dicendo che quando avremmo smesso di cadere saremmo rimasti sdraiati per terra, cioè tradotta che quando sarebbe finita la recessione saremmo rimasti al palo senza alcuna crescita dignitosa. È quello che si sta verificando ora.
Il 16 giugno gli italiani dovranno pagare Imu e Tasi. Ciò può influire sui consumi dei prossimi mesi?
Nel momento in cui un contribuente deve mettere mano al portafogli per pagare la Tasi, il messaggio che passa è molto più forte rispetto a un prelievo in busta paga che non si vede. Con le tasse sulla casa un cittadino si trova di fronte a un costo senza benefici. Dal dato sul primo trimestre emerge la fine della recessione nella misura in cui non ci sono chiesti ulteriori appesantimenti della pressione fiscale. Nel momento in cui però si riapre una crisi greca e gli spread tornano a salire, la ripresa potrebbe arrestarsi. Noi oggi abbiamo un costo del debito pubblico che è irrisorio rispetto alla pericolosità e alla consistenza del debito stesso. Il basso costo del debito è un evento fortuito, e non un nostro merito.
Come valuta invece il +0,2% registrato dall’inflazione?
Il paradosso è che l’inflazione aumenta soprattutto in settori voluttuari, che in teoria potrebbero essere oggetto di una qualche compressione. Ciò potrebbe segnalare che in quel settore è possibile aumentare i prezzi perché c’è una certa ripresa della domanda, o che comunque la domanda non va male. Le famiglie italiane stanno attraversando una congiuntura dicotomica. Ce ne sono alcune che possono permettersi di aumentare la spesa per viaggi, trasporti, alberghi, ristorazione e tempo libero. Un’altra parte della comunità nazionale invece fatica a mettere assieme il carrello della spesa.
(Pietro Vernizzi)