Il fascino del legno, la particolarità delle venature, così uniche e irripetibili. Tanti artisti e imprenditori nel corso degli anni hanno scommesso su questo materiale, cercando di trovare una fusione intelligente tra l’opera d’arte e il prodotto di mercato, i pezzi unici e le possibili riproduzioni per fini commerciali. Ebbene, una giovane azienda, anzi impresa (come preferisce dire il giovane imprenditore in questione) di Torino sembra aver vinto questa scommessa, riuscendo a proporre mobili e oggetti di arredamento con un design e una tecnica di intarsio unica nel panorama italiano. Abbiamo raggiunto per un intervista direttamente nella sua sede aziendale, Ivan Paradisi, fondatore, imprenditore e unico dipendente dell’omonima impresa.
Imprenditore, artista, artigiano e designer: Ivan, ci racconti come è arrivato fin qui, la sua storia personale prima di quella aziendale.
A 31 anni mi ritrovo con poco lavoro, la passione della musica che fin lì era stata anche il mio sostentamento ma con cui non avrei mai potuto realizzare il mio sogno: poter far qualcosa di mio e proporlo al pubblico, ero costretto invece ai compromessi per arrivare a fine mese (matrimoni, marchette, locali) e non ero contento, ma reinventarmi era impegnativo. Una persona che conoscevo mi propone una scuola serale con corso di restauro: mi intrigava il legno ma non ne sapevo nulla se non la chitarra che suonavo! Finalmente stavo facendo qualcosa che mi appassionava e che dicui vedevo i risultati, primo anno benissimo e continuo per altri due seguendo anche corsi di falegnameria.
E la prima azienda quando arriva?
Al secondo anno di corsi apro la mia prima ditta, bluffo con il mondo fingendo di saper fare tutto come falegname, nasce così la mia “Botteghina”. Pian piano lavoro, studio e imparo davvero sul campo, decisivo il mio insegnante: in gamba e disponibile, un maestro che mi ha insegnato tutto e aveva pazienza con me, correggendomi con la benevolenza di un padre. Gli affari andavano ma ero di nuovo io che mi annoiavo, dopo 10 porte e 20 sedie mi stufavo e cercavo altri stimoli. È lì che ho cominciato a interpretare la tecnica dell’intarsio, inventando dei modi particolari per attaccare materiali e legno.
Ma questo stile, così particolare e stravagante ma nello stesso tempo elegante e moderno, come arriva?
Lo stile me lo faccio io pian piano, imparando e osservando, disegno prima tutto quello che ho in testa e poi produco di tutto, anche le cose più complicate e tecniche, basta impararle e poi si va. Molti falegnami che conosco dubitavano dei miei progetti, dicevano che non sarebbero mai stati in piedi i prodotti che li proponevo via rendering, eppure ce l’ho fatta (guarda soddisfatto alle opere che tiene tutte vicino all’ufficio, ndr). Le prime opere che faccio – i titoli sono sempre un omaggio alla musica lirica italiana, tanto per non perdere l’abitudine musicale – sono animali particolari ed esotici in legno, come la tigre, la giraffa, il toro: volevo fare qualcosa di grosso e simpatico, di inusuale, e questi animali facevano al caso mio, poi il toro qui a Torino era un modo per schierarmi (ride)… ho dovuto anche fare la zebra però dopo, bisogna soddisfare tutti i clienti! Poi arriva l’incontro che mi cambia la vita…
Cioè?
Dopo i primi anni in cui producevo opere d’arte in legno, ad una mostra per l’auto a Torino incontro Paolo Savoia e lì lui mi pone una sfida affascinante e produttiva: perchè non unire la mia arte con l’utile del mercato? Inizia dunque da li la vera azienda Ivan Paradisi, specializzandomi nel fare mobili da pezzi unici, quindi non industriali, utilizzando sempre le mie idee e tecniche d’intarsio nel legno. Lì parte tutto e gli orizzonti si riaprono: 3 anni fa prendo questo spazio in periferia a Torino e me lo sistemo tutto da me, con la parte di laboratorio e una parte, che ancora devo finire bene, di showroom che faccia vedere subito al cliente di che pasta sono fatti i miei mobili, per vedere la potenzialità di quest’impresa. Ma non è tutto rosa e fiori: per arrivare fin qui la fatica è stata tanta, i soldi spesi ancora di più, grazie alla mia famiglia sono ancora qua e il Salone del Mobile a cui abbiamo partecipato per la prima volta quest’anno, ci ha aperto un po’ di strade per il futuro: vanno ancora tutte battute ma i contatti presi sono tanti e interessanti, come ad esempio essere diventati affiliati a FederlegnoArredo penso sia un grosso passo avanti per la nostra azienda. Il percorso è questo, sono fiducioso anche se c’è l’ansia di tornare indietro, io non voglio fare il gambero e voglio sempre andare avanti. Se fossi in Europa del nord probabilmente avrei risolto buona parte dei miei problemi, sia per lo stato che potrebbe dare una mano maggiore guardando ai piccoli bisogni, e sia per l’interesse del pubblico per le mie invenzioni.
Con il lavoro che lei ha creato, ha potuto sperimentare un’esperienza di sussidiarietà?
Gestisco progetti, materiali, pubbliche relazioni, se vado in Comune cosa risolvo? Di cosa parlo? A Torino è tutto un muro di gomma! Ti viene messo molto poco a disposizione, nessuno (o quasi) ha interesse per far crescere nuove realtà giovani e talentuose. Senza la famiglia che mi ha dato una grossa mano non avrei mai potuto fare tutto ciò, questo non è un sistema meritocratico purtroppo, nessuno ti dà la fiducia per crescere e investire nel futuro con proprie capacità.
Che rapporto ha con le P.A. locali e regionali?
Questo sistema politico non aiuta nessuno. So che è una banalità, non ho soluzioni però, l’unica è farcela con le proprie forze, senza investimenti economici dietro che sostengono è molto difficile proprio perchè in pochissimi scommettono su di te. Anche se va in banca o le varie amministrazioni locali, e ti danno 50mila euro di fondi, che te ne fai? Tra materiali, prodotti, fiere, partrneship internazionali, mostre… se ne va tutto e sei di nuovo da capo. Ci si lamenta della fuga di cervelli, ma è chiaro! Chi rimarrebbe qui?
Ma scusi, quindi perchè lei è ancora qua?
Io non me ne vado perchè il mio vanto è forgiarmi del made in italy e non avrebbe alcun senso prendere in giro tutti e farlo all’estero, devo farlo qua. La situazione è ai limiti dell’imbarazzante in Italia ma voglio rimanere, ho la presunzione che nonostante tutto il male che penso di questo paese, credo ci siano ancora persone oneste, valide, con ancora la volontà di voler far qualcosa, di volerla proporla a tutti. Io mi sento parte di questi pochi e come me ne vedo altri: non ho bisogno della gratificazione del sindaco, vorrei semplicemente nel mio piccolo tirar su un’impresa vera e propria, con i miei collaboratori e in questo favorire la mia e la loro crescita di famiglie, dar da mangiare loro, riuscendo ad instaurare non solo un rapporto di lavoro ma di amicizia. Voglio arrivare alla fine della mia carriera vedendo tutto quello che sono riuscito a fare, raccogliere tutto in un catalogo che donerò con dedica a tutti i miei collaboratori, non voglio neanche sentire la parola dipendenti, stop. Poter dire di avere costruito tutto questo, anche se sembrava impossibile. Ma per farlo reputo indispensabile l’onesta e correttezza, altrimenti non mi potrei più guardare in faccia: si parla tanto di corruzione in giro e mi chiedo, perchè non mi date la possibilità di dimostrare il mio valore e la mia onestà? Non chiedo tanto…
Fa il suo ingresso, prima se ne era stato in disparte, il compare di azienda, l’unico realmente, l’uomo che cura tutto l’aspetto comunicativo e di promozione, quel Paolo Savoia responsabile del “cambio di strategia” di Ivan qualche anno fa. Che con poche parole dà un grosso contributo alla chiaccherata: «il problema nostro italiano è che noi andiamo all’estero a proporre oggetti ma non rimaniamo poi lì a produrre, siamo rimasti alla logica colonialista ma dobbiamo superarla. Io vorrei e lo dico sempre a Ivan che insieme alla splendida idea deamicisiana di dar lavoro e crescita alle famiglie dell’azienda, ci vorrebbe anche che il proprio genio, e Ivan è incredibile in questo, deve adattarsi a quello che il mercato propone. Mai sedersi, confrontiamoci con l’esterno per crescere di più noi, mettendo del nostro a disposizione del mondo». Si comprende come sia importante il fidato consigliere, tanto che Paradisi incalza: «Io il terzista per aziende non voglio farlo, a me non potete chiedere cose normali, l’ho già detto, voglio semplicemente fornire il mondo di cose che non avrebbero mai pensato, è un percorso inverso e per me molto più stimolante».
Come avete affrontato la crisi, visto che in pratica voi siete nati imprenditorialmente solo pochi anni prima di queste grandi difficoltà mondiali?
Mi sono indebitato e inoltre la mia famiglia mi ha aiutato, in più ho fatto di tutto per arrivare a fine del mese con un anche un piccolo utile, arrotondando con quelle “cose normali” di cui sopra, zoccoletti alle porte, sedie, eccetera. La schiena però ci ha rimesso, non faccio mai pause e sono sempre qua, 7 giorni su 7. Ma mi va bene così. Sono fatto così, devo avere un obiettivo che mi dò io e per questo mi alzo al mattino, nessuno mi deve cosa devo fare, ripeto non voglio fare il “gambero” tornando indietro. Rifarei tutto per arrivare qui ma alzando sempre di più l’asticella.
Perchè il legno? Cosa la affascina di questo materiale?
Il legno non è casuale, è una cosa che mi ha sempre incuriosito, le venature sono affascinanti, non ce n’è una mai uguale all’altra. Ti fa sorgere curiosità sul mondo intorno a te, sull’interno di ogni costruzione. I miei mobili sono così, son impiallacciati e dentro vanno costruiti in modo precisissimo, altrimenti vien giù tutto perchè non sono banali e classici, ci vuole accortezza nei materiali, le questioni tecniche poi le impari col tempo, si affronta tutto e questo mi affascina. Ad esempio, poco fa ho avuto la necessità di rivestire alcuni mobili in pelle: mi appassiona anche questo, io quello che vedo davanti a me penso a come avrei potuto realizzarlo io e poi lo produco secondo la mia idea che ho in testa, è una cosa che sento dentro da sempre.
Non crede che questa sia già arte?
Avrei potuto fare molte cose, il pellaio, il falegname o l’inventore. Se hai la manualità e quella passione che spiegavo prima, vai dovunque! Una volta che impari puoi davvero sbizzarrirti. Il punto centrale è che mi piace produrre una cosa che ho in testa, arrivare alla fine del progetto e vedere quella cosa che avevo dentro come realizzata: questa penso sia arte. Che sia legno, metallo, pelle, scale (e mi indica la scala che ci ha portato al suo ufficio, anche quella progettata e fatta da questo geniale imprenditore-artista, ndr), il concetto vale lo stesso. Il legno lo preferisco semplicemente per una questione di singolarità del materiale. Non mi basta mai un obiettivo raggiunto, e questo non so se sia positivo: ho sempre bisogno di un’impresa sempre più complicata e difficile, solo così mi appassiono.
In questo senso, ritengo che l’uomo per sua natura sia fatto sempre per qualcosa in più di quello che già sperimenta, fa e vive; cosa ne pensa?
Ne conosco pochi che la pensano così come dici, spesso penso che questo ti si ritorca contro perchè lavoro sempre qua dentro senza sosta. È anche vero che però se sono nel mood giusto, il lavoro non mi pesa, sono un po’ diverso dalla media dei lavoratori normali: io quando arriva il venerdì mi ansio, perchè penso ancora a quante cose devo fare, non è come per tutti la liberazione dal lavoro: non fermandomi mai, la mia vita è questo lavoro.
Ma la stoccata finale e conclusione perfetta è ancora di Paolo Savoia, che fa capire forse l’origine di un’umanità così particolare come quella di Ivan, con un concetto di impresa così forte. «La famiglia Paradisi è così, lui è stato educato in questo modo, educato a saper costruire le cose. Poi però ha trovato la sua strada, e questo è il massimo: riuscire a differenziarsi in un confronto educativo. Non è scontato e porta i suoi frutti».
(Niccolò Magnani)
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(“Nessun Dorma”, Ivan Paradisi)
(“Nabucco”, Ivan Paradisi)
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(“Tiger”, Ivan Paradisi)
(“Taurus”, Ivan Paradisi)