L’aumento dello 0,3% del Pil nel primo trimestre, pur poca cosa, fa sperare che l’Italia possa crescere più dello 0,6% nel 2015 e dell’1,4% nel 2016 ora previsti perché segnala che il sistema economico è più vitale di quanto finora pensato. Ma il consolidamento dell’ottimismo economico richiede conferme nei prossimi mesi per poter diventare leva duratura di espansione.
In questi giorni la produzione industriale appare tonica, trainata da un export in boom nelle aree non-euro grazie alla svalutazione dell’euro. La domanda di mutui sta avendo un picco, sintomo di risveglio del settore immobiliare. Il credito, pur ancora insufficiente, mostra un incremento. I consumi danno segnali più positivi che negativi. La tendenza verso la deflazione si è interrotta. In sintesi, il mercato interno, pur lentamente, comincia a “girare”.
Ci sono dubbi sul fatto che l’export continui il tiraggio forte dei mesi scorsi a causa della contrazione dell’economia statunitense che è la principale locomotiva globale. Ma i dati correnti mostrano che la recessione americana del primo trimestre è stata contingente e che l’America resterà locomotiva. Tuttavia, il traino esterno della crescita italiana verrà limitato dalla fine del programma di iperliquidità della Bce, e della conseguente svalutazione competitiva dell’euro, nel settembre 2016. Ciò significa che si dovrebbe forzare di più la crescita del mercato interno per arrivare a quella data con meno dipendenza dall’export e quindi con minor rischio di ricadere in recessione.
Ma il governo non sta attivando gli stimoli fiscali necessari, in forma di maggiori investimenti pubblici e/o detassazioni, perché ciò implica tagli e riallocazioni di spesa pubblica molto difficili sul piano del consenso. E, pur prevedendo microstimoli, non possiamo aspettarci un forte impulso dalla politica economica, prova ne è il progetto di bilancio 2016.
Il governo potrebbe però fare altre azioni non-fiscali comunque propulsive: (a) imporre all’Ue una soluzione nazionale e rapida per lo smaltimento di 350 miliardi di crediti deteriorati nel sistema bancario che ne riducono gli impieghi; (b) cambiare la legge fallimentare per rendere più fluide le soluzioni alla crisi aziendali, ancora molte e generatrici di disoccupazione; (c) rendere possibili contratti di lavoro temporanei senza oneri e garanzie a favore dei disoccupati, in particolari giovani.
In conclusione, se non vuole stimolare il sistema potrebbe almeno ripararlo. Se così, la forza del mercato privato sarebbe tale da produrre crescita sufficiente nonostante un modello fiscale depressivo.