Ieri, in occasione dell’Assemblea nazionale del Pd presso Expo, Matteo Renzi ha annunciato una riduzione delle tasse mai vista e l’abolizione della tassa sulla prima casa. L’annuncio del premier non è del tutto una sorpresa: questa è la vera riforma da fare, ne parliamo da troppo tempo ed è fin troppo facile dire che se Renzi vuole cementare il suo consenso non può eludere questo intervento; in secondo luogo, una settimana fa, Il Foglio – a firma del suo direttore Claudio Cerasa – anticipava queste intenzioni del governo.



Renzi parla di “rivoluzione copernicana”: via la tassa sulla prima casa, l’Imu agricola, intervento sull’Ires e sull’Irap nel 2017, interventi sugli scaglioni Irpef e pensioni nel 2018. Il premier, forse per non allarmare i nostri partner europei, dice che non chiederà autorizzazione a Bruxelles per sforare il tetto del 3% previsto dal Fiscal compact; il taglio, quindi, dovrebbe essere permesso da una manovra di contenimento della spesa pubblica, ormai indispensabile al di là del taglio annunciato: secondo le ultime stime di Bankitalia, il debito pubblico ha toccato a maggio i 2218,2 miliardi di euro, aumentando in un solo mese di 23,4 miliardi e dall’inizio dell’anno di 83,3 miliardi (+3,9%).



Come scrivevamo lo scorso novembre su queste pagine, la strada è quella percorsa con buoni risultati da Mariano Rajoy in Spagna il cui governo, con il permesso dell’Ue di portare al 5,5% il rapporto deficit/Pil (oggi al 4,5%), nel 2014 ha varato un significativo taglio delle tasse.

Il riferimento spagnolo è interessante perché parliamo di un Paese che ha un sistema produttivo simile al nostro. Nel 2011 era sull’orlo del default, ma, con alcune riforme strutturali, la situazione si è ripresa. Determinante è stato – oltre alla buona riforma del lavoro del 2013 che ha di fatto dato inizio ad un trend significativo per l’occupazione – proprio l’intervento sul fisco che ha portato il livello medio delle tasse spagnole sulle imprese dal 30% al 28% nel 2015 e al 25% nel 2016, cosa che ha portato beneficio al lavoro e ai consumi.



Un confronto con il nostro livello di tassazione è difficile, ma se si prende come riferimento l’”Effective Tax Rate” (pressione fiscale rispetto all’imponibile) l’Italia è prima in Europa con il 58% mentre la Spagna è al 29%; se invece si considera il “Total Tax Rate” (pressione fiscale totale che comprende, oltre le tasse, anche i costi accessori come la burocrazia) l’Italia è al 65,8% mentre la Spagna è al 58,6%.

Difficile che Matteo Renzi possa fare dietrofront dopo questo annuncio. Si capirà, probabilmente dopo la pausa estiva, come sarà possibile attuare questa manovra. Se l’operazione dovesse passare attraverso la richiesta di sforamento del tetto del 3% del rapporto deficit/Pil (al momento si aggira attorno al 2,6%), Matteo Renzi avrebbe comunque buone possibilità di riuscita: gli va certamente riconosciuto maggior coraggio politico rispetto a chi lo ha preceduto (Monti, Letta), ma trova in questo momento condizioni piuttosto favorevoli: la crisi greca rende l’Europa inevitabilmente più sensibile a un progetto come questo, considerato anche il trend positivo della nostra produzione industriale.

 

In collaborazione con www.think-in.it

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