Giorgio Squinzi non ci sta. Per il presidente di Confindustria il dato del Pil italiano del secondo trimestre conferma solo che “non c’è una ripartenza vera”. E se nella seconda parte dell’anno non andrà meglio, per l’Azienda Italia “saranno guai”. Il leader di viale dell’Astronomia, ieri mattina, non ha atteso un attimo a commentare i flash Eurostat e non ha provato neppure a distinguere fra il segno più davanti a un progresso trimestrale da prefisso telefonico. Ed è pur vero che “è tutta l’Europa che frena”, ma questo non sembra un alibi per il governo italiano (dove pure al ministero dello Sviluppo economico siede un leader imprenditoriale come Federica Guidi). Anzi, a dispetto delle forti turbolenze politico-economiche internazionali, “il problema vero” – nella visione del leader degli industriali italiani – resta tutto interno: è l’assenza perdurante di “condizioni favorevoli all’impresa”.
“In Italia – ha rincarato la dose Squinzi – finché saremo così bloccati da tutte le complicazioni burocratico-amministrative e in più con tutti i problemi che abbiamo senza fare le riforme, non ci muoveremo”. Un’altra censura evidente a Renzi. Il quale considera evidentemente riforme solo le sue, che in queste settimane sono quelle istituzionali. Che potranno forse far crescere le prossime performance elettorali del Pd e la forza del “premierato renziano” – si legge fra le righe delle dichiarazioni di Squinzi – ma non certo il Pil.
È passato poco più di un mese da quando – nella cornice milanese e amica dell’assemblea Ucimu – Squinzi aveva attaccato Renzi: molto interessato a rottamare i “corpi intermedi” come le associazioni di categoria e pochissimo disposto, invece, a seguire con determinazione Confindustria nella riforma della contrattazione, su cui il sindacato è invece sordo.
C’è stato un momento in cui Confindustria e sindacato (soprattutto la Cgil di Susanna Camusso) facevano gioco di squadra nel sollecitare la politica (si trattasse della declinante stagione di Mario Monti, del tentativo postelettorale di Enrico Letta, dello stesso debutto di Renzi). Oggi Squinzi – praticamente alla fine del suo mandato – è rimasto solo a criticare il premier dal floor dell’economia reale. È probabile che si stia effettivamente levando qualche sasso dalle scarpe (perfino, paradossalmente, contro l’ottimismo espresso in passato anche dal Centro Studi Confindustria). Ma sarebbe sbagliato imputare a un personaggio come Squinzi scelte o atteggiamenti sganciati dal suo ruolo di imprenditore e di leader di Confindustria. Sarebbe sbagliato – ad esempio – escludere che attraverso le aziende pubbliche associate a Confindustria (Eni, Enel, Finmeccanica, Poste, Fs, tutte rinnovate nei vertici) l’one man governement renziano abbia provato a rottamare viale dell’Astronomia “normalizzandola” dall’interno.
In parallelo, è impossibile non pensare che la campagna elettorale interna a Confindustria non sia già iniziata. E Squinzi – polemizzando con Renzi – potrebbe anche segnalare il suo timore di quasi past president: che qualche candidato – magari formalmente imprenditore privato o comunque “professionista di Confindustria” – stia costruendo la sua ascesa a partire dall’iscrizione “a prescindere” al partito renziano. A prescindere, anzitutto, dai dati sul Pil e degli interessi degli imprenditori veri. Come Squinzi.