La produzione industriale nel mese di luglio aumenta dell’1,1% rispetto a giugno e del 2,7% rispetto a luglio 2014. Lo rileva l’Istat, secondo cui nel trimestre maggio-luglio 2015 la produzione è cresciuta dello 0,5% rispetto al trimestre precedente. Il dato è del +0,7% se si confrontano i primi sette mesi del 2015 rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Aumentano tutti i settori produttivi, sia pure in modi differenti: l’energia segna +7,1%, i beni di consumo +1%, i beni intermedi +0,6% e i beni strumentali +0,3%. Per Luigi Campiglio, professore di Politica economica all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, “sono dati positivi ma siamo ancora nell’ottica di una ripresina, cioè di una crescita modesta”.
Da che cosa dipende questa “ripresina” della produzione industriale?
Dipende da una serie di componenti. Una di queste è il contenimento delle spese per il carburante legate al fatto che i suoi prezzi non sono aumentati o sono lievemente diminuiti. A ciò si aggiunge l’effetto “climatico”, cioè un luglio particolarmente caldo. Il terzo fattore importante è un parziale rinnovo del parco circolante, in quanto abbiamo avuto un periodo di forti sconti e “chilometri zero” nel settore dell’auto.
Gli italiani ne hanno approfittato per sostituire la vecchia auto?
Sì. Del resto dopo una recessione così lunga, durata almeno sette anni, chi ha bisogno dell’auto non solo per fare le vacanze ma anche per lavorare è naturale che colga l’occasione di condizioni più favorevoli sia in termini di prezzi sia di finanziamento. Gli incentivi sono un driver certamente importante che influisce su beni durevoli come l’auto in particolare e più in generale sull’intero settore dei trasporti. Un settore, quest’ultimo, che ha beneficiato della domanda interna.
Basta questo per una ripresa duratura?
Diciamo che è un segnale positivo perché rappresenta un rientro ai cicli normali dell’economia, caratterizzato da “onde” di domanda per il mercato immobiliare o per beni durevoli come le auto. Ad alimentare questi cicli era sia il ricambio naturale, cioè il fatto che le macchine diventavano vecchie, sia gli incentivi. La differenza rispetto al passato è che non resta molto della vecchia Fiat, e quindi la domanda di consumo riguarda prevalentemente auto importate da Germania e Francia. Quel che rimane di Fiat registra miglioramenti significativi, ma su numeri che ormai sono diventati molto piccoli.
Ma una volta a trainare l’industria italiana non era proprio l’export?
Già. E’ un problema da registrare anche perché l’interscambio commerciale non è migliorato, anzi presenta dei problemi, e soprattutto le esportazioni non sono aumentate. Tra i dati positivi invece, sia pure modesti, va segnalato il +0,3% dei beni strumentali.
Perché ritiene che quel +0,3% abbia un valore?
Beni intermedi e strumentali sono legati tradizionalmente a un ciclo degli investimenti che non esiste più, perché è stato sostituito da una lunga stagione di austerità. In questa lunga stagione di austerità c’è il ritorno a un piccolo segno più per quanto riguarda i beni strumentali. Dobbiamo però attendere ancora un po’ per capire se questo sia un segnale di ripresa consolidata.
Che cosa manca per una ripresa consolidata?
Il vero consolidamento che tutti si attendono non riguarda aspettative che da negative diventano positive perché cambia l’umore dei consumatori. L’umore dei consumatori cambia se il potere d’acquisto dà segni di miglioramento. Per capire se dietro a questi piccoli “segni più” c’è una sostanza robusta bisognerà attendere almeno un altro trimestre, così da vedere che cosa è cambiato nel frattempo nell’economia italiana. Non dimentichiamo che quella in corso è una ripresa lenta, e che dunque se è competitiva non genera occupazione, mentre se genera occupazione non è competitiva.
(Pietro Vernizzi)