Un terzo dei profitti delle imprese italiane finisce in tasse. È quanto emerge da un’analisi pubblicata su Il Sole-24 Ore, sulla base dei dati Infocamere del 2014, secondo cui il tax rate medio è pari al 32,8% dei profitti, arrivando al 35,5% per quanto riguarda le attività manifatturiere e al 36,4% per quelle commerciali. La pressione fiscale sulle aziende non accenna a diminuire nel tempo, rimanendo invariata in settori come la manifattura e aumentando in energia, servizi alle imprese, noleggio, sanità e costruzioni. Nel frattempo il governo ha annunciato tagli alle tasse sulla casa e lievi ritocchi per quanto riguarda quelli su lavoro e imprese, ma per riduzioni significative di tasse maggiori quali Ires e Irap bisognerà aspettare il 2017. Ne abbiamo parlato con Guido Gentili, editorialista ed ex direttore de Il Sole-24 Ore.



Che cosa ne pensa del taglio delle tasse annunciato dal governo Renzi?

È già stato dimostrato che l’altissima tassazione sulla casa è stato un fattore di aggravamento della crisi. Su questo terreno non è sbagliato intervenire. Parlando a Cernobbio, il ministro Padoan ha detto che ci sarebbe stata una riduzione di tasse anche sulle imprese. Nel prospetto iniziale di Renzi il taglio dell’Ires doveva partire dal 2017, ma si sarebbe dato anche un segnale per quanto riguarda il taglio dell’Irap, che era stata una delle novità importanti della scorsa legge di stabilità.



È giusto tagliare prima le tasse sulla casa e poi quelle sulle imprese o si dovrebbe fare il contrario?

Se si vuole davvero ridurre la tassazione bisogna farlo sulla casa, perché i dati di Confedilizia sull’aumento delle tasse sono ben superiori agli aumenti degli altri Paesi europei. Alla luce dell’enorme aggravio che c’è stato su questo terreno, ritengo che non sia sbagliato tagliare le tasse sulla casa, e questo anche se Commissione Ue e Fmi storcono il naso. All’interno di una manovra che si profila così ampia dal punto di vista espansivo, pari a circa 27 miliardi, dovrebbe essere anche trovato lo spazio per continuare sulla strada già iniziata l’anno scorso della riduzione delle tasse sulle imprese.



Senza coperture, c’è il rischio che i tagli di tasse siano temporanei o che siano compensati da altri aggravi?

Il rischio c’è, perché il discorso delle coperture deve ancora essere affrontato nel dettaglio. I segnali che arrivano sono preoccupanti, perché vediamo che la manovra sulla spending review è più debole rispetto ai 10 miliardi che erano stati previsti. Questa somma doveva essere utilizzata integralmente per evitare che scattassero le clausole di salvaguardia e scongiurare quindi gli aumenti di Iva e accise sulla benzina. Con il petrolio ai livelli più bassi di sempre, sarebbe un paradosso avere un aumento delle accise. Solo per il 2016 vanno trovati 16 miliardi di euro, che per il biennio successivo salgono di altri 54 miliardi “prenotati” su questo terreno. Già è difficile evitare che la pressione fiscale aumenti, dobbiamo invece diminuirla e da questo punto di vista il tema delle coperture è decisivo.

Quanta spesa in deficit ci consentirà la Commissione Ue?

Operiamo su un terreno sconosciuto. Le modifiche introdotte lo scorso anno a livello di governance europea lasciano uno spazio evidente di trattativa politica. La partita si giocherà su questo terreno. Le raccomandazioni formali dello scorso luglio sottolineano che l’Italia non rispetta le regole sul debito, che il processo di riduzione della spesa è insufficiente, che si predilige una riduzione delle tasse ma non di quelle sulla casa. Stando ai contenuti delle raccomandazioni, in linea teorica dovremmo assistere a una bocciatura della legge di stabilità da parte della Commissione Ue.

 

È ciò che avverrà?

No, in primo luogo perché c’è una discussione politica in corso. A favore del governo gioca comunque il riconoscimento del fatto che alcune riforme sono già state ultimate e altre le sta portando avanti. Su questo il giudizio della Commissione Ue è abbastanza netto. Per ottenere l’ok alla sua Legge di stabilità, Renzi metterà sul piatto anche la riforma del Senato. Il premier considera infatti le riforme costituzionali come un terreno fertile per la ripresa e per dimostrare la sua buona volontà di cambiamento.

 

(Pietro Vernizzi)

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