L’appuntamento che i soci del G-20 “finanziario” si sono dati nei pressi di Shangai (conclusosi con un comunicato finale già negoziato per settimane) conferma che di tutti i vari “G” della galassia dell’economia internazionale questo è quello che più assomiglia al “Cosmos Club” in bella vista sulla Massachusetts Avenue, N.W. C’è una differenza importante: al G-20 sono ammesse donne con rilevanti cariche di Governo, mentre al “Cosmos Club” non solo le regole impediscono alle donne di diventare socie (anche quando hanno i “rilevanti meriti scientifici” per l’ammissione), ma non possono entrare per la porta principale; c’è una piccola “ladies door” nel fianco della villa dove ha sede il circolo.



Al pari del G-20, gran parte dei soci del “Cosmos Club” servono a colorire l’ambiente; pagando una quota non indifferente, possono però usufruire dell’ottimo ristorante, del ricco bar e dell’elegante foresteria (dove passare, senza donne, una o qualche notte). Al pari del G-20, formalmente tutti i soci sono sullo stesso piano. Tuttavia, ci sono soci “più soci” degli altri. Per decenni, ad esempio, alle 7:30 del mercoledì mattina, una saletta del ristorante è stata riservata per una prima colazione a tre “più soci” degli altri: il Segretario al Tesoro, il Presidente della Federal Reserve e il Presidente del Comitato dei tre Consiglieri economici della Casa Bianca. La politica fisco-monetaria veniva definita tra uova strapazzate, tazze di caffè, frutta e qualche volta anche un calice di champagne francese.



Al G-20 appena svoltosi pare che i protagonisti siano stati tre (proprio come nei mercoledì mattina del ‘Cosmos Club’): il ministro delle Finanze tedesco, il Cancelliere dello Scacchiere britannico e il Governatore della Banca centrale cinese. Non che gli altri abbiano fatto unicamente da tappezzeria. I “nostri” Padoan e Visco hanno illustrato le riforme, fatte e in cantiere, nel nostro Paese e hanno sostenuto il potenziamento del Quantitative easing europeo. Temo, però, che abbiano interessato principalmente i giornalisti italiani. Il ministro delle Finanze tedesco ha, invece, insistito sulla necessità della stabilizzazione finanziaria, senza la quale, a suo parere, non ci può essere crescita. Il Cancelliere dello Scacchiere britannico ha cercato, non si sa con quanto successo, di trovare alleati contro la Brexit. E il Governatore della Banca centrale cinese ha assicurato che non ci saranno “guerre valutarie” (ossia svalutazione dello yuan) nonostante il debito pubblico del suo Paese sia sul 250% del Pil (il risparmio dei cinesi – ha detto – è la metà del reddito disponibile). Tuttavia, non è arrivato quell’appello alla crescita mondiale, corredato da misure pertinenti, mentre, come documentato su questa testata, c’è il rischio di un nuovo “rallentamento” di non breve periodo.



L’Italia, Paese trasformatore ed esportatore, avrebbe avuto esigenza non solo di tale appello, ma di una strategia comune per la crescita. Proprio mentre vicino alle rive del Fiume Azzurro, il “Cosmos Club” del mondo si riuniva, al Tesoro venivano presentati i dati di una ricerca ancora in progress che sta conducendo la Banca d’Italia sul tema degli effetti della doppia recessione degli ultimi anni sulla capacità produttiva del manifatturiero (l’architrave della nostra economia). A seconda dei metodi di stima, tale capacità produttiva è diminuita tra il 17% e il 21%, riportandoci ai livelli della fine degli anni Ottanta, colpendo particolarmente i beni di consumo intermedi e durevoli.

Naturalmente, sono problemi nostri, che dobbiamo risolvere con le nostre politiche. Ma se dal G-20 non ci sarà un quadro di crescita, l’efficacia delle nostre azioni sarà meno incisiva.