Nel quarto trimestre del 2015 il Pil italiano è cresciuto dello 0,1% rispetto al trimestre precedente e dell’1% rispetto allo stesso periodo del 2014. Lo ha comunicato l’Istat, spiegando anche che “nel corso dell’anno la crescita congiunturale ha mostrato un progressivo indebolimento” e che la variazione acquisita per il 2016 è pari allo 0,2%. Dati che, secondo Luigi Campiglio, Professore di Politica economica all’Università Cattolica di Milano, non possono essere accolti con soddisfazione. «È sempre buona cosa – ci dice Campiglio – guardare alla vita con ottimismo, ma è anche buona cosa guardare fino in fondo alla realtà per fare in modo che le cose vadano davvero bene e ne si abbia la chiara percezione nella vita quotidiana».
Cosa si può prevedere per il 2016, stante il dato comunicato dall’Istat e le stime finora emerse dagli organismi internazionali?
Le previsioni per quest’anno non sono favorevoli, perché un po’ tutto il mondo vive una fase di rallentamento della crescita. Credo che inevitabilmente questo comporterà una riduzione anche del potenziale di crescita del nostro Paese, soprattutto per quella parte del settore produttivo legata alle esportazioni.
Ci troviamo anche in un periodo di deflazione, come lo stesso Istat ha certificato nei giorni scorsi. Ritiene che si stiano sottovalutando i rischi che essa comporta?
Nell’area europea non credo che il problema deflazione venga sottovalutato. Mario Draghi è ben consapevole che questa situazione è rischiosa. In primis perché il tasso di inflazione è un segnale del rapporto tra domanda e offerta. Dunque la deflazione ci sta dicendo che l’offerta è molto più superiore della domanda. C’è poi il rischio di innescare una spirale negativa sui prezzi, che può portare pressioni al ribasso sui salari. Senza dimenticare che la deflazione appesantisce il debito pubblico e che è subdola: una volta che vi ci si trova invischiati è difficile venirne fuori.
La Bce, il cui board si riunisce giovedì prossimo, può fare qualcosa per evitare il peggio?
Draghi non ha molte carte da giocare. Può intervenire per cercare di favorire la gestione del debito, ma se la domanda (sia interna che estera) è bassa, è difficile convincere le imprese a fare investimenti solamente perché i tassi sono bassi. E non si può nemmeno pensare di convincere i consumatori ad acquistare e consumare a debito. Dunque la strada maestra è fare in modo che la Bce promuova gli investimenti pubblici, con soluzioni innovative.
In che modo la Bce potrebbe stimolare gli investimenti pubblici?
Con un’operazione non convenzionale che stabilisse di accettare come collaterale anche bond legati a investimenti in determinati settori, come per esempio l’ambiente, l’energia, le infrastrutture. Gli effetti sarebbero immediati sull’economia reale, anche perché smuovere gli investimenti pubblici può contribuire a sbloccare quelli privati. La cosa importante è che questi soldi non finiscano per essere “buttati dalla finestra”, ma che si facciano veramente quegli investimenti. Mi lasci aggiungere una cosa.
Prego.
Nel momento in cui la Bce fa della deflazione un problema centrale, sta in realtà dichiarando qualcosa che non si può dire, ma che in realtà è come se venisse detto.
Cioè?
Sappiamo che la Fed ha due obiettivi, inflazione e occupazione, mentre la Bce solo l’inflazione. Ma se quest’ultima risale vuol dire che l’occupazione e la produzione vanno meglio. In questa fase, dunque, far risalire un po’ l’inflazione vuol dire necessariamente andare a favorire le forme di investimento produttivo che migliorano l’occupazione. Se c’è la sufficiente immaginazione finanziaria (nel senso buono) perché questo avvenga, magari riusciremo nel corso di quest’anno a riprendere un sentiero di crescita che consenta a tutti di respirare un po’, in particolare a noi italiani. Perché va bene l’ottimismo dello zero virgola, ma non è quella la strada per la vera ripresa.
(Lorenzo Torrisi)