Una cosa sa sicuramente fare Luca di Montezemolo: scegliere i collaboratori. Aveva visto giusto su Jean Todt e Michael Schumacher per la Ferrari, su Dario Rinero per Poltrona Frau, su Ferruccio De Bortoli per Il Sole 24 Ore (nulla togliendo al direttore attuale), e su Flavio Cattaneo per Italo. Oltre che su Alberto Vacchi per la Confindustria: non come suo collaboratore, ma come nuovo leader. Però, se nel giro di due giorni Cattaneo ha preferito andarsene a Telecom (certo, assai meglio pagato, ma dopo appena un anno dall’incarico conferitogli anche da Montezemolo), lasciando con Italo anche una precisa scommessa imprenditoriale personale (stava diventando azionista significativo del treno privato italiano); e se Vacchi è stato “bruciato” – sul filo di lana ma comunque bruciato – da Vincenzo Boccia nella corsa alla presidenza di Confindustria, significa che Montezemolo ha proprio perso il “quid”. Ed è stato “bocciato”, col suo candidato. Quindi non aveva sbagliato cavallo, ma non conta più come una volta. Non ha più alle spalle la Fiat. Rappresenta se stesso, con amici e nemici. Più i secondi – evidentemente – che i primi.



Mentre la “grande elettrice” di Boccia, Emma Marcegaglia, è stata molto abile nel tenere insieme gli antipodi: realtà disparate come alcuni grandi gruppi pubblici e i giovani di Confindustria, il Piemonte e il Sud…Tutte compatte pro Boccia. Complimenti. Peraltro, “ci sta” che a guidare gli industriali italiani, dopo il bergamasco Squinzi, la mantovana Marcegaglia e il bolognese Montezemolo, sia di nuovo un meridionale: perché se il Sud si mettesse a crescere, l’Italia guarirebbe.



Però il day-after di Confindustria è di solare evidenza: l’associazione è divisa in due. Con un bilancio di 100 voti a 91, se 5 elettori avessero lasciato Boccia e votato Vacchi si ribaltava l’esito. La spaccatura sarebbe sostanziale se gli opposti votanti continuassero a dividersi anche da domani, invece no: torneranno a lavorare scrollando le spalle.

Il programma di Boccia è più filogovernativo – bella scommessa, affidarsi alle promesse renziane, con i fondamentali del Paese che sono quelli che sono e i fondi del Jobs Act in esaurimento; ed è continuista, come ha riconosciuto lui stesso, nel bel discorso a caldo dopo il successo: “Non userò mai, riferendomi a noi”, ha detto, “il termine discontinuità, lo ritengo irrispettoso per chi ci ha preceduto. Io, come tanti di voi, per quel senso di appartenenza alla nostra comunità, non rinfaccerò sconfitte e né mi esalterò per le vittorie. La mia sarà continuità nei valori e nell’identità e cambiamento che ci è imposto dai nuovi contesti, nello stile, nel merito, nella struttura”.



Peraltro, la sua grande elettrice Marcegaglia aveva commentato, qualche minuto prima, che “Vincenzo Boccia saprà creare la giusta discontinuità”: ma la discrasia è solo apparente, perché in quell’aggettivo – “giusta” – c’è la chiave di un’infinita gamma di sfumature…

All’opposto, Montezemolo ha lasciato trasparire il suo disappunto: “Si è persa una straordinaria opportunità di cambiamento e di rinnovamento. Non è bello vedere una Confindustria così spaccata, credo che sia un motivo di profondo rammarico per il presidente uscente”. Subito confutato da Luigi Abete, un altro past-president, in ottimi rapporti con lui: “Non c’è nessuna Confindustria spaccata: qualche volta Montezemolo ha interpretazioni molto soggettive. C’è stata competizione tra due persone di valore. Ci sono molti punti in comune tra i due programmi”. Infine Marco Bonometti, il presidente dei bresciani che si era ritirato dalla corsa: “Lo avevo detto che la Confindustria sarebbe uscita spaccata”.

Spaccata sì, spaccata no, spaccata forse. Ma al di là di questi e tanti altri commenti a caldo, restano due dati di fatto: che i due candidati sono e restano due persone serie e perbene, entrambe, e stimate come imprenditori – pur di assai diversa taglia e ambito: a far volare qualche straccio di troppo sono state, più che altro, le lobby attorno a loro, ma in fondo, neanche poi tanto. E adesso il polverone si assesterà. Gli imprenditori veri si rimetteranno a pensare alle aziende. L’assemblea di fine maggio – questa resta una stravaganza – nominalmente composta da 1200 elettori finali, si limiterà come sempre a ratificare il voto dei suoi consiglieri delegati… E a Boccia – ecco l’altro dato di fatto – passata la festa resterà in mano la patata bollente.

La grana, cioè, di una Confindustria nazionale che deve tentare di avere voce in capitolo in una Bruxelles dove neanche il suo Paese conta nulla; una Confindustria senza Fiat e con varie altre illustri defezioni, da Amplifon a Cartiere Pigna, Nero Giardini, Riello, Baglietto, Moby e varie altre; o associate ma in cagnesco, come la Finmeccanica (pardon: Leonardo) il cui conducator Mauro Moretti ha minacciato di andarsene se viale Astronomia non ridurrà i salati contributi d’iscrizione annuale. Una Confindustria costosa che non ha più nel Sole 24 Ore una fonte di ricchi introiti. E un governo appoggiato e apprezzato il cui leader, però, gioca in proprio su una scacchiera dove gli industriali possono fargli comodo ma non sono i suoi interlocutori principali perché esprimono pochi voti e i loro giornali contano sempre di meno nello spostare quelli degli elettori “normali”.

Dunque, che farà Boccia? Attuerà come potrà il suo programma, pieno di cose anche interessanti, facendo di tutto – ha promesso – per scuotere il sistema dalla stagnazione in cui versa. E c’è da scommettere che si prodigherà: è uomo serio e perbene, come si diceva. La sua parola d’ordine è “ossessione per la crescita del Paese e delle imprese: investendo, innovando e rimettendo il sistema industriale al centro dello sviluppo dell’Italia”. E Vacchi certo non remerà contro: “Io avevo un certo tipo di programma, con un certo tipo di profilo, ma gli associati sono sempre quelli che devono decidere e hanno fatto una scelta che non è necessariamente negativa. Spero che sia una scelta calzante per Confindustria e tutti noi”.

Scontrandosi quindi entrambi – vincitore e vinto – fin dal “giorno uno” del nuovo corso con l’unico sindacato movimentista rimasto, la Fiom-Cgil di Maurizio Landini, fieramente opposta alla piattaforma di ridefinizione del rapporto di lavoro proposta da Fedemerccanica e fatta propria da Boccia (come in verità anche da Vacchi): “Tutti quelli che sono in corsa per Confindustria appoggiano la posizione di Federmeccanica”, aveva avvisato il sindacalista in mattinata, “ma questo porta allo scontro. Se vogliono evitarlo devono cambiare posizione. Federmeccanica deve togliere dal tavolo l’idea di superare il contratto nazionale”.

Insomma, a Boccia non mancheranno né lavoro, né grane. Buon per lui che a Salerno, alle sue “Arti Grafiche”, c’è chi saprà ben gestire anche quando il capo sarà a Roma, cosa accaduta in fondo già assai spesso da quando, quindici anni fa, l’imprenditore è diventato un quadro importante della struttura confindustriale: il che non ha impedito al gruppo di sviluppare i ricavi, nel periodo, di oltre il 200%. Anche in questo ci sarà continuità.