A febbraio 2016 il fatturato dell’industria cresce dello 0,4% sul mercato interno rispetto allo stesso mese del 2015, mentre cala dell’1% sul mercato estero. Il fatturato totale diminuisce dello 0,2%. È quanto emerge dagli ultimi dati Istat, secondo cui il commercio al dettaglio cresce dello 0,3% rispetto a gennaio e addirittura del 2,7% rispetto a febbraio 2015. Nel Def il governo ha fatto sapere di aspettarsi una crescita del Pil dell’1,2% nell’arco dell’intero 2016. Il Pil, secondo le stime Istat, è cresciuto dello 0,3% nel primo trimestre 2016 e aumenterà della stessa percentuale nel secondo. Ne abbiamo parlato con Luigi Campiglio, professore di Politica economica all’’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.
La domanda interna è sufficiente per trainare il Pil al +1,2%?
No. La compressione salariale di questi anni è stata particolarmente forte, le imposte sono aumentate e i redditi delle famiglie ristagnano o aumentano di poco. Ci sono le condizioni per ciò che stiamo concretamente osservando, e cioè per una ripresa troppo debole dell’economia che è sospinta prevalentemente dalla domanda interna. Quest’ultima però è inadeguata se si vogliono produrre effetti più sostanziali, perché è oramai costretta nell’angolo dalle politiche di austerità degli ultimi anni.
Possiamo aspettarci che nel terzo e quarto trimestre la crescita del Pil aumenti rispetto al primo e al secondo?
È un risultato molto difficile da realizzare. In questo momento non ci sono le condizioni per rimetterci in cammino in modo deciso e vigoroso. L’Italia continua a essere un Paese nel quale la crescita occupazionale, dopo la cessazione dei generosi incentivi per le assunzioni, si è rapidamente bloccata. Al di là della retorica politica, le prospettive per i lavoratori più giovani non sono promettenti perché appena sono cessati gli incentivi la ripresa dell’occupazione si è fermata.
Perché dice che non ci sono le condizioni per una svolta?
Siamo di fronte a deboli segnali positivi che rispecchiano quello che riesce a fare la domanda interna delle famiglie. Ma è veramente sconfortante vedere come non ci sia una prospettiva di politica economica e industriale del nostro governo. L’Italia è un Paese in vendita dove le migliori imprese sono gradualmente acquisite da investitori esteri. Abbiamo diverse belle aziende, specialmente piccole e medie, che tanto maggiore è il loro pregio tanto più sono acquistate da investitori esteri. Oggi parlare di politica industriale in alcuni ambienti è quasi una bestemmia, eppure è proprio ciò di cui avremmo bisogno.
Se l’aspettativa del governo è che la spinta venga dalla domanda interna, ci sarebbe bisogno di misure per incentivare i consumi?
Certamente. Non dimentichiamo che tutte le ricerche, incluse le mie, dicono che l’Italia è un Paese che si è impoverito a causa dell’austerità. Anche i redditi alti si sono ridotti. Le politiche di austerità non sono mai state capaci di guardare al di là del proprio naso e di tenere conto delle conseguenze che tutto questo produce nel Paese.
C’è bisogno di un taglio della spesa pubblica?
No. Quello sui tagli alla spesa pubblica è una retorica devastante, in quanto la spending review ha prodotto effetti molto gravi in settori chiave per la vita sociale del Paese come l’istruzione e la sanità. Non soltanto si è tagliato, ma si vuole continuare a tagliare, e questo non ha niente a che fare con le ragioni dell’efficienza che sono un puro pretesto, altrimenti non si taglierebbe bensì si spenderebbero bene le risorse disponibili.
E sulle pensioni che cosa si dovrebbe fare?
Anche questo è un caso emblematico. Non vedo che bisogno ci sia di compiere queste azioni di spremitura del sistema pensionistico, come se ciò garantisse qualche beneficio per i giovani. Se il taglio delle pensioni avviene davvero a favore dei giovani, si deve anche spiegare in che modo questi ultimi siano favoriti. Se la risposta è il Jobs Act, i risultati purtroppo non sono soddisfacenti.
(Pietro Vernizzi)