Mps al mattino conferma di aver incaricato Mediobanca di costruire una piattaforma per la gestione delle sofferenze (Npl) e alla sera, a margine dei conti trimestrali, annuncia di voler accelerare al massimo lo smaltimento dei bad loans (nelle stesse ore il governatore Bankitalia, Ignazio Visco, esclude invece che la vendita degli Npl sia una priorità assoluta in Italia). UniCredit resta sotto il fuoco martellante del “Wall Street Journal”, per il quale il “caso Popolare di Vicenza” non sarebbe che la punta di una crisi-icerberg che avrebbe al centro il gruppo guidato da Federico Ghizzoni. L’assemblea di Veneto Banca boccia clamorosamente il consiglio uscente e consegna il timone a una formazione di soci locali, alla vigilia della ricapitalizzazione-verità. Atlante continua intanto a cercare una posizione stabile per reggere su di sé i cieli in tempesta del sistema bancario nazionale: il suo gestore Quaestio sonda già con un certo affanno fondi esteri con cui condividere la proprietà gravosa della nuova popolare di Vicenza, mentre Ignazio Angeloni, membro italiano del consiglio di Vigilanza Bce, suggerisce di allargare a investitori esteri la platea degi sottoscrittori di Atlante, finora soltanto italiani.
Non è facile ricondurre a unità i segnali di una giornata tumultosa: nella quale, anzitutto, la Borsa ha premiato Mps, presieduto da Massimo Tononi, ex top manager Goldman Sachs. Piazza Affari ha fatto rimbalzare il titolo in controtendenza rispetto al listino e alle altre azioni bancarie su un’indicazione presa subito per buona da operatori e analisti: Mps sembra volersi mettere nelle mani di Mediobanca, non in quelle di Atlante, per la triturazione di 24 miliardi lordi di Npl. Rocca Salimbeni pare quindi fidarsi della banca d’affari milanese che non ha aderito ad Atlante, piuttosto che del fondo nazionale salvacredito nato ufficialmente per smaltire Npl, ma in realtà subito impelagato negli aumenti di capitale delle Popolari distressed nel Nordest. Un fondo di cui appaiono già i limiti strategici e dimensionali (i fondi internazionali non potevano essere coinvolti prima? Perché non si è deciso per un fondo unico per aumenti di capitale e Npl?).
La tensione attorno a UniCredit non dura da oggi. È nata nell’autunno 2015 con il “caso Palenzona” che non ha avuto esiti giudiziari, ma ha certamente intaccato la reputazione del primo gruppo nazionale. In novembre il nuovo business plan presentato da Ghizzoni – e incentrato su 18mila esuberi – è stato praticamente ignorato dal mercato, che ha dimezzato il valore del titolo. Laddove governance e gestione hanno non hanno mai mostrato segni di reazione, la crisi di reputazione si è oggettivamente aggravata quando UniCredit si è ritirata dall’impegno di garanzia sull’Ipo Popolare Vicenza. Sebbene Ghizzoni abbia respinto ogni addebito di “errori” (e apparentemente un comitato interna lo abbia “assolto” in vista del consiglio del 10 maggio), la questione non pare risolta: certamente per un titolo che sta soffrendo in centinaia di grandi portafogli globali.
Dall’assemblea di Veneto Banca esce infine un’ennesima situazione-rebus nella strana zona grigia creata dalle normative dell’Unione bancaria fra vigilanza e mercato. A differenza di Vicenza – incapace di elaborare in sede locale strategie minimamente credibili per traghettare la Popolare fuori dall’era Zonin – a Montebelluna i soci locali hanno mostrato una capacità indubbia di gestire con elasticità tutte le pressioni prodotte dalla crisi della Veneto. La ritirata tattica dell’ex Ad Vincenzo Consoli, ha preparato la controffensiva maturata ieri con il ribaltone assembleare: la sconfitta della lista capeggiata dal presidente Pierluigi Bolla e dall’Ad Cristiano Carrus e la vittoria della lista autonomista pilotata da Stefano Ambrosini, professionista piemontese con molti addentellati romani.
Cosa succederà ora? Banca Imi (cioè Intesa Sanpaolo, cioè l’architrave di Atlante) manterrà la garanzia all’aumento da un miliardo, ormai imminente? E quale sarà comunque l’esito dell’offerta? Il “popolo della Vicenza” ha drammaticamente disertato l’Ipo, anche se le nuove azioni erano offerte a quasi-zero: la Marca trevigiana (collegio elettorale del governatore leghista veneto Luca Zaia) dissottererà i suoi capitali per “ricomprarsi” Veneto Banca? Il consorzio istituzionale (di cui farà parte anche UniCredit) vorrà o potrà raccogliere sottoscrizioni a Londra o Wall Street? In caso contrario la Bce – che ha severamente raccomandato a Montebelluna una rottura netta con il passato – dichiarerà la banca “risolvibile”. Nei fatti, tuttavia, ciò corrisponderà a “chiamare” di nuovo Atlante, a bruciare un altro miliardo.
Questo strano maggio delle banche italiane è comunque appena iniziato: domani a Verona va in scena l’assemblea per il lancio di un terzo aumento di capitale. Un miliardo chiesto dal Banco su pressing della Bce per potersi fondere con la Bpm.