I giovani tra i 28 e i 36 anni, nati cioè a cavallo del nuovo millennio, dopo aver rivoluzionato il mercato della musica e dell’editoria, sono pronti a cambiare profondamente anche il mercato dell’arredamento. Si tratta di una rottura generazionale fortissima, segnata più che dall’uso della tecnologia (che c’era anche prima), dai cambiamenti che si creano nel comportamento sociale.



Lo dice una ricerca, commissionata da FederlegnoArredo all’agenzia Pambianco, che per la prima volta indaga i desiderata dei cosiddetti millennials (che nel 2020 rappresenteranno il 50% del mercato) sul tema arredo-design.

L’indagine rivela che i millennials hanno imparato fin da piccoli a ottimizzare continuamente il proprio budget di spesa. Ma sono diversi dagli “adult” (over 36) soprattutto perché hanno vissuto in pieno la grande rivoluzione concettuale della “sdrammatizzazione” dei prodotti, che prima erano considerati “eterni”. Gli “adult” tendono ad acquistare tutto di marche medio-alte o alte, ritenendo la durata sia un tratto importante del loro arredamento. I millennials amano invece mescolare cose costose a cose “cheap”, che cambieranno in un secondo momento con altre cose non necessariamente costose. Essi prestano inoltre maggiore attenzione agli aspetti di responsabilità sociale.



Qualcuno sottolinea anche che i millennials sono più critici, più interessati a contenuti che esprimono personalità. E’ pur vero che l’aspettativa di vita aumenta e che il pubblico dei senior rimarranno un target importante. E’ difficile però che gli stili di vita e di consumo dei millennials cambieranno con il tempo.

Allora le domande: le aziende del comparto sono pronte a confrontarsi con questo scenario? Di cosa hanno bisogno per mettersi al passo con i tempi? In altre parole, esiste una risposta italiana all’Ikea?

Tutto questo è stato chiesto ai tanti ospiti convocati ieri a Palazzo Mezzanotte (sala delle conferenze gremita), in un tavolo di confronto tra imprenditori, manager ed esperti, su “La rivoluzione dell’industria del design”.



A sentire le risposte, e in particolare il racconto delle esperienze vissute dagli imprenditori, verrebbe in realtà da chiedersi: siamo sicuri che le indicazioni del marketing saranno utili alla vita e all’espansione delle imprese italiane? O forse, ancora una volta, la soluzione verrà spontaneamente dalla cultura imprenditoriale delle nostre aziende?

Dalle parole di Eusebio Gualino della Gessi Spa, si potrebbe pensare alla seconda ipotesi: nei primi anni Novanta, quando andava di moda l’outsurcing, hanno consolidato tutto all’interno; da piccola azienda in mezzo a colossi, più che pensare a diventare grandi, hanno pensato a distinguersi, puntando sull’eccellenza ad ogni costo.

Interessante anche la storia della Sambonet Paderno Industrie che, avendo acquisito nell’arco della sua vita alcune altre imprese, tra cui due francesi e una tedesca, può permettersi di considerarsi un’azienda internazionale e di offrire Made in Italy, Made in Germany e Made in France, a seconda di prodotti e mercati.

E la borsa? Anche per questi imprenditori il mercato azionario può aspettare. L’ansia del profitto a breve non sembra toccarli. Questi imprenditori hanno in mente altro. Qualcosa di bene espresso da due creativi presenti, gli architetti e design, Carlo Colombo e Patricia Urquiola: viaggiare, dialogare, ascoltare, prendere input da tutto il mondo e rimanere con i piedi ben piantati in Italia, dove “anche le mani sono intelligenti” come ha detto Giovanni Anzani della Poliform che, raccontando della sua impresa, non a caso ha parlato di “passione e voglia di fare bene le cose”.

La diffusione di tutto questo patrimonio di gusto, di bellezza, di ingegno – giurano i creativi – non avverrà con la forza, ma con la creatività. Ma chi l’ha detto e chi l’ha stabilito che un’azienda piccola non sia in grado di relazionarsi utilmente con i mercati esteri? E che non sia in grado di guadagnarsi degli spazi di mercato significativi e anche a prezzi competitivi? Forse sta proprio qui la risposta italiana al modello Ikea.

In questo quadro, un altro elemento si sta rilevando rivoluzionario: l’e-commerce (in crescita esponenziale nel settore) che, come ha sottolineato Laura Angius di Lovethesign, non ti fa vedere in faccia il cliente, ma te lo fa conoscere e ti permette di chiedergli direttamente cosa desidera.

Già lo scorso anno nel comparto dell’arredo-design si era potuto finalmente constatare che la ripresa è arrivata, anche sul mercato interno. E il recente Salone del mobile aveva mostrato la grande vivacità e il buono stato di salute delle imprese. E’ noto quanto sia grande la cultura del fare, del creare, dell’immaginare in queste aziende e quanto questa “miniera” venga scoperta e apprezzata sempre di più in tutto il mondo. A tal proposito, il presidente di FederlegnoArredo, Roberto Snaidero ha sottolineato lo sviluppo e la tenuta del settore: “in questi anni di crisi l’associazione è riuscita ad essere un importante fattore di aiuto e sostegno alle imprese”.

Sono imprese per lo più piccole e medie, a conduzione familiare, refrattarie a quotarsi in borsa e spesso criticate per la loro incapacità a far sistema. Eppure, dati alla mano, finora sembra che abbiano avuto ragione a tirar dritto a modo loro.