Il fatturato industriale cresce del 2,1% e gli ordinativi dell’1%. È il dato Istat che emerge confrontando aprile con il mese precedente. Nella media degli ultimi tre mesi (febbraio, marzo e aprile) i risultati però sono molto meno lusinghieri. L’indice complessivo del fatturato registra il -0,2% rispetto allo stesso periodo del 2015, con un -0,3% per il fatturato interno e un -0,1% per quello estero. Al netto dei prodotti energetici si ottiene invece il +0,5%. Intanto scende a giugno la fiducia di imprese e consumatori. Per Francesco Daveri, professore di Scenari economici all’Università Cattolica di Piacenza, «per avere una crescita più consistente di Pil, fatturato e vendite occorre un taglio della pressione fiscale complessiva pari almeno all’1% del Pil, cioè a 16 miliardi di euro, da finanziare attraverso una spending review più consistente».
Professore, quale scenario per la ripresa emerge dai dati Istat su fatturato e ordinativi?
Nei primi quattro mesi del 2016 i dati sulle vendite sono allo 0% rispetto allo stesso periodo del 2015, e questa è l’altra faccia della medaglia rispetto al fatturato. Per il momento l’indicazione che emerge è in contrasto con il dato che invece riguarda il Pil, pari al +1%. È pur vero che il fatturato include il valore degli scambi, mentre il Pil considera solo i beni intermedi escludendo gli acquisti di semilavorati da parte delle aziende. Il quadro che emerge dal dato su fatturato e ordinativi si colloca proprio tra lo 0% delle vendite e il +1% del Pil. Mentre il dato congiunturale di aprile, che registra un aumento del fatturato e degli ordinativi, è una variazione mensile molto volatile ed è quindi difficile da commentare.
Il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, ha annunciato nuovi tagli delle tasse per favorire la crescita. Che cosa serve realmente per raggiungere questo obiettivo?
I tagli di tasse di cui parla Padoan riguardano il 2017, mentre le misure per il 2016 sono già operative. La strategia del governo per quest’anno è stata quella di incentivare gli investimenti con varie misure come il super-ammortamento al 140% e gli incentivi per il Sud.
Quali sono stati i risultati?
Nelle previsioni del governo queste misure dovrebbero tradursi in un andamento degli investimenti molto positivo. Indubbiamente però con fatturati che crescono poco diventa difficile immaginare che gli investimenti stiano rispondendo come vorrebbe il governo. Finora i settori che sono andati meglio sono comunque quelli legati agli autoveicoli e ai mezzi di trasporto, una componente delle voci di investimento.
Se quanto ha fatto finora il governo si è tradotto in un fatturato trimestrale del -0,2%, che cos’altro è possibile fare?
Produrre un’accelerazione della crescita nel secondo e nel terzo trimestre con misure prese adesso è difficile. La riduzione delle imposte è stata insufficiente rispetto a quanto sarebbe stato necessario per fare salire maggiormente il reddito disponibile delle famiglie, e quindi i consumi. Se questi ultimi fossero stati maggiori avrebbero a loro volta alimentato gli investimenti. Ciò che occorreva era una riduzione dell’imposizione fiscale complessiva. Le tasse non sono state ridotte perché è stato fatto molto poco in termini di spending review, e i dati su fatturato, ordinativi, Pil e vendite sono i risultati che stiamo raccogliendo.
Di quanti punti bisognava tagliare la pressione fiscale per produrre un effetto rilevante?
Un intervento pari a un punto di Pil, cioè a 16 miliardi di euro, avrebbero potuto determinare un effetto misurabile. D’altra parte il problema è che quando uno finanzia un taglio delle tasse con la riduzione della spesa, quest’ultima per qualcuno si traduce in minori redditi. Una riduzione delle imposte non produce quindi un effetto shock, in quanto un taglio da 16 miliardi poi va finanziato con una riduzione della spesa pubblica di ammontare simile, e quindi il risultato è molto più piccolo rispetto alla somma iniziale.
Quindi anche la spending review non basta per assicurare le risorse per la ripresa ….
Se si fa tutto in pareggio, esiste il rischio che nel breve periodo l’effetto sia zero o anche negativo. Il punto però è che finora la spesa è sempre aumentata, e quindi sono sempre aumentate le tasse per finanziarla. Ogni volta che c’erano maggiori entrate fiscali si aumentava la spesa nel periodo successivo. Quello che si deve rompere è questo meccanismo. Quando attraverso la riduzione della spesa si incominciano a tagliare le tasse, c’è una parte di spesa pubblica che non deve più essere finanziata con le tasse e quindi si può sperare che l’effetto sia permanente. Magari i benefici non sono immediati, ma possono avvenire nel corso del tempo.
(Pietro Vernizzi)