«La vera minaccia per il Pil italiano non è la Brexit, bensì il Fiscal compact e il bail-in bancario». È la previsione di Antonio Maria Rinaldi, professore di Finanza aziendale all’Università Gabriele D’Annunzio di Pescara e alla Link Campus University di Roma. Il Centro Studi di Confindustria ha abbassato le previsioni sul Pil italiano nel 2016 dall’1,4% allo 0,8%, spiegando in una nota: “Agiscono da freno a una maggiore espansione economica le conseguenze derivanti dalla decisione del Regno Unito di uscire dall’Ue”. Anche Prometeia ha tagliato le stime sul Pil dall’1% allo 0,8%, giustificando la scelta con l’incertezza politica che “manifesta i suoi effetti sui prezzi degli attivi finanziari e sulla formazione della domanda”.



Professore, che cosa ci dobbiamo aspettare dopo che le previsioni sul Pil italiano sono state abbassate?

L’ufficio studi di Confindustria ci ha abituati ormai da troppi anni a previsioni completamente sballate, e anche quest’ultima rientra nella stessa categoria. Per quanto riguarda la Brexit, tutto sarà in funzione del nuovo agreement che l’Ue dovrà negoziare con la Gran Bretagna. Presto si arriverà a uno status di Paese associato, al fine di non perdere un “cliente” importante come il Regno Unito.



In che senso la Gran Bretagna è un cliente dell’Ue?

Nel senso che è un’importatrice netta di beni e servizi per 110 miliardi nei confronti dei Paesi Ue, di cui la gran parte provenienti dalla Germania. Sarebbe stupido precludere un Paese con queste caratteristiche dal continuare ad avere rapporti commerciali con il resto dell’Europa. Dal punto di vista commerciale mi attuare mettere delle sanzioni o delle sterili ritorsioni commerciali nei confronti della Gran Bretagna. È nell’interesse stesso dei Paesi Ue arrivare subito a un accordo. Non credo dunque che le previsioni apocalittiche di Confindustria si realizzeranno, se queste sono subordinate al referendum britannico.



Quindi lei che cosa si aspetta per il Pil italiano?

Il punto è da che cosa dipenderà la sua performance. Sarebbe molto più onesto fare questa analisi in funzione della crisi bancaria in atto in Italia. Mi meraviglia che i rappresentanti di ciò che è rimasto degli industriali italiani non abbiano previsto una contrazione del Pil se si rimane nella prospettiva dell’applicazione del Fiscal compact e se il governo Renzi non provvede subito a mettere in moratoria il bail-in bancario. Queste sono le due spade di Damocle che possono condizionare i tassi di crescita dell’Italia, oltre ovviamente più in generale all’appartenenza all’area euro cui siamo soggetti da quando abbiamo firmato i trattati.

I fattori cui guardare sono dunque altri?

Sì. La contrazione del Pil non dipende né da Brexit, né tantomeno dal referendum di ottobre sulla Costituzione. Dipende dal fatto che il governo italiano decida o meno di sospendere immediatamente la futura applicazione del Fiscal compact, che non farà altro che aggravare il carico fiscale e quindi uccidere ancora di più la domanda interna.

 

Come valuta l’atteggiamento di Confindustria?

Mi meraviglia che Confindustria non si faccia carico di una forte azione per sensibilizzare governo e parti sociali a chiedere l’immediata sospensione dell’applicazione futura del Fiscal compact e del bail-in.

 

Anche Prometeia però ha rivisto al ribasso le previsioni sul Pil dall’1% allo 0,8%…

Il punto non è che Prometeia ha abbassato le previsioni, ma che evidentemente erano sovrastimate quelle precedenti. Non si capisce infatti sulla base di quale supporto scientifico prevedesse un incremento dell’1%. Adesso quindi Prometeia fa marcia indietro avvicinando le previsioni alla realtà. Del resto siamo abituati al fatto che si lancia il sasso il più lontano possibile per poi abbassare il tiro riducendo le previsioni. È una tecnica adottata ormai da tutti, ma non è certo corretta: dovrebbero dire fin dall’inizio come stanno le cose.

 

Se il Pil crescerà solo dello 0,8%, quali saranno le conseguenze per il bilancio pubblico?

Il debito e il carico fiscale aumenteranno sempre di più, e l’Italia si spegnerà come un cerino.

 

(Pietro Vernizzi)