«La ripresina attuale rischia di diventare una parentesi prima di una nuova crisi, la terza in otto anni, proprio come avvenne nel 2010-2011 quando i timidi segnali di miglioramento furono stroncati dal Fiscal compact». Lo prevede Gustavo Piga, professore di Economia politica all’Università Tor Vergata di Roma. La Congiuntura Flash del Centro Studi di Confindustria ha evidenziato il fatto che nel secondo trimestre 2016 la produzione industriale è calata al -0,1% dal +0,5% del primo trimestre. Le stesse attese peggiorano, con un saldo che cala da 9,7 a 9,3, e a essere particolarmente debole è il settore delle costruzioni.

Professore, considera un caso questo continuo sommarsi di segnali di rallentamento?

Intanto questi segnali indicano che abbiamo messo la costruzione europea in mano a eventi che noi non controlliamo, e ciò evidenzia una fortissima debolezza politica. Basta un battito d’ali perché le nostre prospettive di ripresa affoghino. Per non parlare poi delle responsabilità europee rispetto a eventi “esterni” come la Brexit e la decisione presa mercoledì dalla Turchia di rinunciare formalmente a entrare a far parte dell’Ue. In meno di un mese abbiamo perso i nostri bastioni di Oriente e Occidente.

In che senso parla di responsabilità europee?

Le popolazioni di Regno Unito e Turchia hanno smesso di condividere il progetto europeo, perché ritengono che sia debole e privo di opportunità. L’Ue non dà l’idea di essere un pilastro del mondo globale, e il motivo è che stiamo sbagliando tutte le politiche.

A ciò si aggiunge una debolezza strutturale dell’Italia?

Senz’altro. Nella Nota di congiuntura flash è scritto in modo significativo che una delle palle al piede che continua a generare disoccupazione nel nostro Paese è il settore delle costruzioni, che dipende in larga parte dalla domanda pubblica. Con il nuovo Codice sugli appalti si è introdotta nel sistema una tale complessità che le amministrazioni pubbliche non fanno più gare. Ciò rallenta ulteriormente gli investimenti in costruzioni, peggiorando quindi l’andamento della nostra economia.

Quali altri fattori frenano la nostra economia?

Fino a quando non ci sbarazziamo del Fiscal compact la crescita non ripartirà. Questa è una condizione necessaria, ma poi bisognerà trovare tutta una serie di attenzioni per la crescita. La nota di Confindustria sottolinea l’importanza della politica monetaria ultra-espansiva, ma mostra anche che quest’ultima senza politica fiscale non è in grado di riprendere slancio. L’Ue avrebbe dovuto essere una grande costruzione in grado di influenzare le dinamiche mondiali, mentre siamo diventati la palla al piede del mondo.

Quindi non si possono dare tutte le colpe all’Ue e alla Merkel?

Sono passati dieci anni dall’inizio della crisi, e i livelli di produzione impiegheranno altri dieci anni per arrivare ai livelli pre-crisi. Certamente c’era un problema a livello europeo, ma poi l’Italia non ha saputo tirare le leve giuste. Quindi evidentemente ci dobbiamo chiedere se tutte le riforme su cui ci siamo concentrati in questi anni siano quelle giuste. Sulla riforma costituzionale, per esempio, stiamo perdendo tempo in dibattiti irrilevanti: io non appartengo al partito di quelli che pensano che se vince il No crollerà l’economia.

Allora di che cosa ha bisogno l’Italia?

L’Italia ha bisogno di investimenti forti in campi quali informazione, istruzione, costruzioni verdi e così via, che farebbero bene sia al settore pubblico, sia a quello privato. Serve inoltre un’autentica riforma di quella grande macchina burocratica che è la pubblica amministrazione. Quindi non facciamo le politiche economiche giuste, non facciamo le riforme giuste, e la conseguenza è che nessuno vuole investire in un Paese come il nostro.

 

Nel 2017 rischiamo un Pil pari a zero o negativo?

Questo rischio esiste sicuramente. Nel 2010-2011 l’Italia ha avuto un accenno di ripresina, che abbiamo interrotto immediatamente con l’adozione del Fiscal compact nel marzo 2011: subito dopo è partita la seconda recessione. Ora ci troviamo in una fase di analoga di ripresina che tira fuori la testa dalla sabbia, ma basta pochissimo a spaventare le imprese e riavere una nuova recessione.

 

Da che cosa dipende il fatto che ciò avvenga o meno?

Dipende dai segnali di cambiamento che saprà dare la politica europea e italiana. Gli Stati Uniti sono riusciti a uscire da soli dalla crisi del 2008, e quella che era una crisi americana è diventata a pieno titolo una crisi europea e italiana. Una nuova crisi è assolutamente possibile, tenuto conto del clima non favorevole creato dall’Europa stessa.

 

(Pietro Vernizzi)