“Se con gli handicap che abbiamo riusciamo a essere il secondo Paese manifatturiero d’Europa superati solo dalla Germania, figuriamoci dove saremmo se non pagassimo l’energia il 30% in più dei tedeschi, se non avessimo un costo del lavoro per unità di prodotto superiore del 30% rispetto a loro e se non avessimo un tasso fiscale globale del 20% più pesante! Come una svalutazione competitiva fatta dal Paese più forte d’Europa! Per questo io sono sicuro che l’Italia ce la farà, il mondo è là davanti tutto da conquistare, siamo il Paese con gli imprenditori più bravi del mondo, se partiamo dalle criticità e ci costruiamo sopra le nostre nuove potenzialità, eliminando gli handicap, vedrete di cosa saremo capaci!”: è allegro e appassionato, Vincenzo Boccia, da tre mesi presidente di una Confindustria che, dopo essersi spaccata nella scelta del capo, si è subito ricompattata dietro le incisive parole d’ordine del leader.



Dunque un ottimismo in puro stile renziano, quello di Boccia, che non ha perso l’occasione per ribadire il convinto “Sì!” di Confindustria al referendum così caro al premier, ma, in compenso, non gli ha risparmiato richieste e suggerimenti, “perché la politica è una cosa troppo seria per essere lasciata ai soli partiti” e perché “è giusto che un corpo intermedio, come siamo noi, si occupi di politica economica e dobbiamo farlo equidistanti dai partiti. Quindi, noi rivendichiamo di dire la nostra idea di politica economica. Perché partiamo dall’economia per poi arrivare alla politica”.



Boccia chiede al governo di procedere per priorità, e fin qui è ovvio: niente di nuovo. Ma parla al governo anche perché lo intendano i sindacati, ai quali lancia l’altra vera sfida: spostare sui contratti di secondo livello, quelli aziendali, lo scambio tra produttività e salario, ricorda, “quindici anni fa dal Cancelliere Schroeder, che con quel modello fece passare il sistema dalla vecchia idea della fabbrica conflittuale a quella della cooperazione”. E questi premi salariali a fronte della produttività dovranno essere detassati, compito quest’ultimo che Boccia affida al governo.



Intervistato da Bernhard Scholz, numero uno della Compagnia delle Opere, Boccia è un fiume in piena, con un lieve accento meridionale che dà calore a un periodare fluido, concettoso ma insieme vivace. E comincia bene, anche perché Scholz gli alza la palla: “Come mai la sua azienda, la Arti Grafiche Boccia, mentre l’industria tipografica di tutto il mondo andava in crisi sotto i colpi di Internet, è cresciuta dal 2008 a oggi del 325% in termini di fatturato e ha fatto investimenti per 50 milioni?”. “Perché siamo stati bravi”, avrebbe potuto rispondere Boccia, ma se l’è cavata con una battuta: “Cito Einstein, un’idea che non sembri assurda ha poche probabilità di essere realizzata”. E poi ha spiegato che la sua azienda ha trasformato il problema di Internet in un’opportunità, allargando la sua geografia di mercato e riqualificando tutte le funzioni aziendali, “perché oggi devi essere bravo in tutto, devi diventare da produttore – com’era mio padre quand’ha iniziato – a impresa”.

Ma anche la vicenda della sua “Arti Grafiche” viene utilizzata da Boccia per tornare ai temi che gli stanno a cuore: una politica economica “dell’offerta che poi si risolva a vantaggio della domanda” e la questione salariale. Al governo dice, in sostanza, che con il debito pubblico che abbiamo occorrono scelte selettive nell’interesse del futuro del Paese, “la torta da dividere va, prima, allargata, evitando il rischio di assalti alla diligenza”. Per il presidente di Confindustria, stanziare 7 miliardi per il rinnovo del contratto del pubblico impiego è eccessivo: “Dobbiamo essere corresponsabili, evitando questo rischio. Consapevoli che con la crescita si possono risolvere i problemi di debito e di deficit che ha il Paese”.

Già, ma come farla ripartire, questa benedetta crescita? Aumentando la produttività, sia con l’azione sui contratti che con gli interventi del governo: il circolo virtuoso dell’economia si rilancia, secondo lui, con “più produttività, più investimenti, più ricchezza da distribuire”. Detassando decisamente i premi di produttività, ha spiegato Boccia, si orientano anche i comportamenti delle imprese (un compito “pedagogico” ha però promesso che dovrà svolgerlo anche la Confindustria): “Bisogna fare in modo di aumentare il novero di chi fa contrattazione di secondo livello, così da poter alzare i salari collegandoli alla produttività e riattivare la domanda rendendo contemporaneamente più competitivo il Paese”, è la formula. Boccia ha immaginato che “ogni azienda con un contratto di secondo livello alza i salari grazie al fatto che riesce ad aumentare la produttività: ci sarebbe un effetto straordinariamente positivo sulla produttività!”.

Una politica che sostenga l’offerta di produzione competitiva e riverberi questo incremento sui salari rilancia anche la domanda e innesca il circolo virtuoso necessario all’economia nazionale per sedare l’ansietà dei cittadini, liberare i risparmi, debellare l’assuefazione al peggio che attanaglia il Sud. “Sarebbe facile per me aggregarmi alle polemiche denunciando, ad esempio, che in Italia ci sono assurde imposte patrimoniali sui fattori di produzione, come l’Imu sui capannoni industriali, che frutta 10 miliardi. Ma significherebbe partecipare alla ricreazione (un modo per definire ironicamente la tendenza alle critiche non costruttive, ndr), invece so che l’Italia ha un debito pubblico alto e devo sforzarmi di essere corresponsabile”.

Ancora, a volo d’angelo: la Confindustria deve culturalmente assecondare e aiutare i passaggi generazionali, e se qualche azienda viene venduta all’estero non è una tragedia; alla stretta creditizia si deve rispondere aprendo la proprietà delle imprese al capitale di rischio, nella direzione in cui va il programma Elite della Borsa italiana, cui appunto Confindustria aderisce: “Oggi vi partecipano 300 aziende, devono diventare migliaia, e se mille di esse ogni anno attraessero 5 milioni di capitali, muoverebbero 5 miliardi di nuove investimenti, innescando a loro volta un circolo virtuoso. Ma occorre che intanto le banche imparino a individuare un modello di valutazione delle imprese che sappia tener conto anche degli asset intangibili, ne stiamo discutendo con l’Abi”.

Insomma, è un Boccia che guarda al futuro e sprona i suoi associati a fare lo stesso. E solo a questo va ricondotto l’annunciato Sì al referendum: “Una scelta legata a questioni economiche, non politiche, per assicurare stabilità e governabilità”.

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