Ad agosto la Consob, grazie al contributo del gruppo di lavoro dedicato alla “Finanza Innovativa”, ha pubblicato il “position paper” dedicato all’Equity Crowdfunding, in collaborazione con il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili. Il crowdfunding è quello strumento in grado di permettere a una pluralità di investitori il conferimento di danaro (anche di importo modesto) al fine di finanziare progetti e/o iniziative. Nel caso dell’Equity Crowdfunding, gli investitori finanziano la società entrando nel capitale sociale (equity), assumendo quindi il ruolo di socio; attraverso piattaforme web, preposte a illustrare i dettagli delle iniziative, è possibile raggiungere più persone (“folla”, ovvero crowd), rivoluzionando tempi e luoghi della domanda e dell’offerta tipica di mercato.
Si ricorda che proprio il nostro Paese è stato il primo nell’aera Ue a dotarsi di un impianto normativo e regolamentare sull’Equity Crowdfunding, antevedendo con largo anticipo le potenzialità di questo strumento di finanza “alternativo” rispetto a quelli classici, arrivando anche in tempi recenti a estendere agevolazioni agli Incubatori di Start Up Innovativi, creando una nuova categoria: l’investitore per l’innovazione.
È interessante richiamare alcune considerazioni su questo tema sollevate in un celeberrimo articolo apparso nel 2012 sul New York Times – “Democratize Wall Street, for Social Good” – firmato dal premio Nobel per l’economia Robert Shiller. Il professore di Yale evidenzia come il crowdfunding sia uno strumento di “creatività” nato sotto l’impulso di esigenze reali e concrete, da parte della società civile, esattamente come lo fu la nascita di Wall Street. Nel 1811 gli States stavano attraversando un periodo di crisi economica, dovuta anche alla complessa situazione relativa all’embargo con l’Inghilterra decisa da Congresso nel 1807. Il “New York bill” fu la risposta alla richiesta di rendere più agevole la creazione di nuove società di capitali “without special action by the Government”, esattamente come, oggi, viene richiesto dalla società civile con lo strumento del “crowdfunding”. Discorso assai complesso e degno di approfondimento, anche perché la finanza innovativa viene spesso associata a male assoluto, in quanto elevata a “fine” e non a mero “strumento” – che, in quanto tale, rimane neutro.
In quest’ottica, la regolamentazione ha anche impatti “sociali” da studiare attentamente, non solamente sotto il profilo della teoria economica, bensì anche sociale e antropologico (su questo punto varrebbe la pena rileggere lo studio che Max Weber dedicò agli operatori di Borsa).
Per rendersi conto di quanto i meccanismi di produzione e distribuzione stiano cambiando è utile la lettura del libro di Salim Ismail – “Exponential Organizations” – nel quale si descrive la profonda trasformazione, avvenuta a livello globale, anche nei meccanismi di accumulazione del capitale da parte delle imprese. Le più virtuose, negli ultimi dieci anni, sono state quelle capaci di cogliere dei sentieri di crescita legati all’utilizzo della tecnologia tale da distruggere i meccanismi di produzione precedenti; la cosiddetta “distruzione creativa” di shumpeteriana memoria si di-svela prepotentemente determinando uno stravolgimento dei “paradigmi” dell’economia neoclassica. Una crescita che viene molto spesso colta dai “piccoli” piuttosto che dai “grandi”, in quell‘effetto di Penrose che proprio oggi, ove la velocità dei cambiamenti tecnologici comporta un repentino adattamento dei sistemi organizzativi e di produzione, mostra tutta la sua validità teorica.
Com’è possibile cogliere questi “cambiamenti”? Un esempio illuminante è dato da “Start Up Chile”, programma di incubazione creato nel 2010 (gestito direttamente dal ministero per lo Sviluppo economico cileno), a partecipazione sia pubblica che privata (Microsoft, Amazon, Google, solo per citare i principali operatori), che a oggi ha selezionato e incubato ben 1309 Start Up provenienti da tutto il mondo. Un laboratorio creativo che genera ricchezza, basti pensare che il 21% del portafogli delle iniziative transitate sotto Start Up Chile è stato valorizzato 1,35 miliardi di dollari americani. E gli effetti di questi trasferimenti di conoscenze impattano tutti con benefici sociali, grazie anche a iniziative specifiche rivolte all’imprenditoria femminile.
Il nostro Paese, al di là di ogni retorica, è ancora capace di offrire talenti e innovazione: la portata del nostro retaggio culturale è unica; come riportato in un recente articolo de Il Sole 24 Ore il “made in Italy”, se fosse un brand, sarebbe il terzo marchio più noto al mondo, dopo Coca Cola e Visa. Alle Start Up stanno guardando anche le nostre banche, con programmi di accelerazione finalizzati a scovare “iniziative” in tutto il Paese (Unicredit ha Start Lab, Intesa San Paolo promuove Start Up Initiative, per citare i due più grandi Istituti nostrani). Ma c’è anche chi – Banca Ifis con il progetto “botteghe digitali” – guarda al mondo dell’artigianato, vero e proprio fiore all’occhiello del nostro Paese, promuovendo iniziative che mirano a digitalizzare i processi di produzione (se non è questa “exponential organizations”…), fornendo anche i contributi di questo processo attraverso filmati girati sul campo e condivisi sulla rete. Un vero e proprio story telling del cambiamento 3.0.
Alla fin fine un nuovo Rinascimento non potrà che partire sempre dal nostro Paese.