Quando Vincenzo Boccia ha distinto fra “politica dell’offerta” e “politica dei redditi” è stato chiaro nell’escludere in partenza ogni refrain della concertazione anni 90: e lo ha detto, ieri a Cernobbio, seduto a fianco del ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda e del segretario della Cgil. Susanna Camusso non ha perso occasione per rilanciare una patrimoniale taglia-debito: tipica manovra d’antan (nella memoria collettiva resta il prelievo del 6 per mille sui depositi bancari nel 1992).



Completamente opposta la visione del presidente di Confindustria: il problema unico dell’Azienda-Italia è rilanciare il Pil, che è ancopra sotto i livelli del 2007. Solo così c’è probabilità che il famigerato rapporto debito/Pil italiano cessi di essere un cappio nelle mani di burocrati di Bruxelles e rigoristi vari nella Ue. E per agire sulla “questione industriale” in funzione della crescita non c’è bisogno di alcun patto, tanto meno di autorizzazzioni di parte del sindacato. E’ necessario invece ricreare condizioni utili, qualunque sia la “flessibilità” che Calenda ha in qualche modo pre-garantito da parte dell’Europa sulla prossima legge di stabilità italiana 2017.



“Detassazione dei premi di produzione, riattivazione della legge Sabatini e i super-ammortamenti, benefici fiscali per le aziende che fanno aumenti di capitale – ha snocciolato Boccia -; non c’è bisogno di grandi cifre, non chiediamo la luna: è una questione di corresponsabilità e chiediamo misure selettive che possano aiutare le imprese a fare un salto”.

“E’ un’agenda a medio termine, quella per la crescita del paese”, ha sottolineato il presidente di Confindustria. Una strategia per avere “un paese più produttivo e più competitivo”, fondata su quattro punti: “industria ad alta intensità di investimenti, alta produttività, alto valore aggiunto, e questione dell’aumento dei salari e redistribuzione del reddito”. E’ una politica dell’offerta e dei fattori di stimolo reale per la domanda. E’ la produttività il punto cruciale, “a parità di valuta un elemento di competitività”. E la detassazione dei salari di produttività è un tassello fondamentale per crescere ed essere competitivi. “Va attivato quel circolo virtuoso con cui affrontare la redistribuzione del reddito e il problema delle disuguaglianze”.



In estrema sintesi – e prendendo ovviamente alla lettera le ennesime dichiarazioni del leader – gli industriali non chiedono più milioni di ore di cassa integrazione lunghissima per vecchi gruppi in declino, né finanziamenti a fondo perduto per costruire cattedrali al Sud (spesso erogati agli stessi gruppi di cui sopra), ma vogliono incentivi fiscali mirati ad imprese di tutte le regioni che operino in settori capaci di fare valore aggiunto (soprattutto con la tecnologia, il design, la capacità di marketing) e che siano pronti – ad esempio – a reinvestire gli utili realizzati nelle proprie aziende.

Coerente con questa impostazione meritocratica della politica industriale, gli imprenditori chiedono di poter pagare di più i dipendenti che accompagnino il percorso di crescita delle imprese. La riforma della contrattazione – con maggiori spazi lasciati al “secondo livello”, rispetto a quello nazionale – è il passaggio decisivo: più volte rinviato dalle organizzazioni sindacali (soprattutto nell’ultima fase della presidenza Squinzi) perché minaccia oggettiva alla pericolante rappresentatività di Cgil-Cisl-Uil.

Le carte sono sul tavolo. La parola è al governo: all’indomani di un trimestre di crescita zero.