Intervistato da Federico Fubini per il Corriere della Sera, Roland Berger – il grande esperto di strategia aziendale nonché consigliere di Angela Merkel – ha parlato dell’Europa e della sua condizione odierna. A parte denunciare il fallimento dell’euro, anche per i livelli di competitività che differenziano i paesi membri – “per i paesi dell’area mediterranea la crescita attraverso il finanziamento con il debito è quasi la regola” -, ha speso parole interessanti sul nostro Paese e sulla nostra economia: La produttività è un disastro, ma il problema dell’Italia decisamente non è la classe imprenditoriale, che è eccellente. Ho dei dubbi sulle imprese pubbliche o vicine allo Stato, ma le imprese private di tutte le dimensioni sono grandiose e molto competitive sul piano internazionale. I problemi principali dell’Italia per me sono l’infrastruttura burocratica, la giustizia che funziona male, e un governo che finora si è dimostrato incapace di fare riforme o di farle al momento giusto. Perché se arrivi tardi sei comunque indietro (…) Non credo che l’Italia abbia un problema economico di per sé. Certo ha il problema strutturale della divisione nord-sud. Anche noi tedeschi dopo l’unificazione tedesca temevamo qualcosa di simile. Abbiamo affrontato la questione in modo duro, non facilone, due terzi dei tedeschi dell’Est hanno dovuto cambiare lavoro ed essere formati per un ruolo diverso. Lo abbiamo fatto anche perché eravamo un Paese ricco. Ma anche l’Italia dal Centro-Nord in su è un Paese ricco, dunque c’è qualcosa che si può fare (…) Ma se l’Italia non riesce a cambiare ciò che tira giù il Paese, sarà sempre un problema. Eppure non ce ne sarebbe ragione, perché i lavoratori italiani, almeno quelli con una formazione, sono eccellenti. Lo vediamo quando vengono in Germania. Ricevono una formazione e poi fanno meglio dei loro colleghi tedeschi.



La fotografia di Berger dell’economia italiana rende onore a quanto di buono c’è nel nostro Paese, visto che se stessimo ad ascoltare i commentatori che abbiamo in casa va tutto male. L’Italia offre risorse importanti: con l’esplosione della crisi economica ci siamo accorti tutti che c’è un’Italia che lavora duro e che ce n’è una parte considerevole che vive di rendita. Di quella parte che, tuttavia, non è competitiva, ci sono anche molte aziende che hanno perso la loro missione, il loro orizzonte: è un fenomeno diffuso in un’economia in cui spesso le imprese passano di padre in figlio, a scapito di capacità e competenze – e anche motivazioni – che i figli non hanno.



Nella parte sana ci sono, come dice Berger, imprenditori straordinari che non solo hanno creato lavoro e grandi prodotti, esportando il made in Italy e il genio italiano in tutto il mondo, ma hanno anche retto un carico fiscale smisurato oggi non più sostenibile. Sono stati spremuti oltre ogni limite. Questo ci dice quali grandi capacità questo Paese ha espresso e quali grandi risorse ha. Nonostante una classe dirigente che ha saccheggiato quanto più ha potuto, l’Italia 10 anni fa era la quinta economia del mondo e oggi rimane pur sempre tra le prime 9. Restiamo il secondo produttore manifatturiero d’Europa.



Certo, in questi ultimi 10 anni abbiamo bruciato 10 punti di Pil. Ma la crisi economica, esplosa nel 2008, ha soltanto acuito il nostro declino, iniziato con la mancanza di risposte che l’intero Paese non è stato capace di dare ai cambiamenti strutturali della nuova economia globale. Il dato sulla produttività del lavoro è eclatante: in Italia – fonte Istat – nel periodo 1995-2015 la produttività del lavoro è aumentata a un tasso medio annuo dello 0,3%. La crescita della produttività nel nostro Paese è risultata infatti decisamente inferiore alla media Ue (+1,6 %) e all’area euro (+1,3%). Tassi di crescita in linea con la media europea sono stati registrati per Germania (+1,5%), Francia (+1,6%) e Regno Unito (+1,5%). Per la Spagna, il tasso di crescita è stato più basso (+0,6%) della media europea, ma più alto di quello dell’Italia.

Crescere la produttività del lavoro significa crescere innovazione e vincere la sfida di Industry 4.0 che l’Italia non può assolutamente perdere se vuole continuare a dare un futuro al suo manufacturing di eccellenza. Non solo Berger, ce lo riconosce il mondo intero.

Twitter: @sabella_thinkin