Dopo una crescita del Pil superiore alle attese, l’Istat ha comunicato anche un buon dato del commercio estero italiano, con un incremento dell’export nel 2016 pari all’1,1% in valore e all’1,2% in volume. Tuttavia, nelle previsioni della Commissione europea per il 2017 l’Italia è davanti solo alla Grecia. Marco Fortis, vicepresidente della Fondazione Edison, invita però a considerare i dati da un’altra prospettiva: «Secondo me, bisognerebbe cominciare a capire che l’economia italiana ha una sua velocità, che poi non è tanto diversa da quella della Germania». 



Professore, la Germania però è cresciuta dell’1,9% nel 2016, mentre l’Italia solamente dello 0,9%.

Se prendiamo i dati del Pil tedesco diffusi dall’Ifo, una tabella mostra che i consumi finali delle Pubbliche amministrazioni hanno dato un contributo dello 0,8% e gli investimenti in costruzioni dello 0,3%. Questo vuol dire che, tolta la spesa pubblica, la crescita della Germania sarebbe stata dello 0,8%. L’Italia non ha avuto un incremento della spesa pubblica, anzi deve contenerla, il settore delle costruzioni ancora langue, ma è cresciuta dello 0,9%. A parità di condizioni, quindi, noi abbiamo fatto meglio. E c’è un dato molto interessante che è passato inosservato.



Quale?

Mercoledì la Banca d’Italia ha stimato il debito pubblico del 2016 a 2.217,7 miliardi. Il Pil previsto nella Nota di aggiornamento del Def è pari a 1.672,2 miliardi. Quindi, il rapporto debito/Pil è al 132,6%, inferiore al 132,8% previsto dalla Commissione europea. Se poi il Pil del 2016 sarà a valori correnti anche solo di 3 miliardi superiore al valore stimato nella Nota di aggiornamento al Def, nel 2016 avremmo il pareggio del debito. 

Questo vuol dire che la manovra correttiva di cui tanto si discute non sarebbe necessaria?

Se il dato del Pil del 2016 definitivo, che verrà reso noto il 1° marzo, ci dicesse che il suo valore è stato vicino ai 1.675 miliardi, il rapporto debito/Pil passerebbe al 132,3%. Dunque non avremmo bisogno di manovre correttive. Senza dimenticare che un rapporto debito/Pil di questo genere ci metterebbe già in buone condizioni rispetto agli obiettivi del 2017: non partiremmo infatti dal 132,8%. Il Governo è riuscito a prendere tempo e forse dopo il 1° marzo la trattativa con Bruxelles potrebbe subire una svolta proprio per dei dati migliori del previsto.



Ma al di là dei parametri di finanza pubblica, come va l’economia italiana?

Se si guarda l’economia reale, vediamo che nell’ultimo trimestre 2016 la produzione industriale è cresciuta rispetto allo stesso periodo del 2015 del 3,5%: il doppio di quella spagnola, il triplo di quella tedesca e sei volte quella francese. Inoltre, avere una bilancia commerciale in attivo per 51,6 miliardi, di cui 39,9 verso i paesi extra-Ue, non è cosa da poco. Abbiamo un’economia reale che sta accelerando e mi aspetto che con la partenza del piano Industria 4.0 ci siano nuovi investimenti in Italia in grado di sostenere ulteriormente la crescita dell’industria meccanica.

Stiamo andando davvero più forte della Germania?

Nell’ultimo biennio la nostra industria meccanica è cresciuta, secondo l’indice di produzione industriale dell’Istat, del 3,8%, mentre quella tedesca è rimasta stazionaria. Nel settore farmaceutico siamo cresciuti del 7,9% contro il 6,2% della Germania. Nei mezzi di trasporto si è avuto un +22,7%, contro il +3,3% tedesco. Stiamo crescendo quindi di più della Germania in quei settori in cui si pensa che i tedeschi siano più forti di noi. Una riprova quindi che se la Germania è cresciuta dell’1,9% non certo perché è più competitiva di noi, ma perché ha fatto quello che è sempre stato rimproverato all’Italia: spesa pubblica. Berlino la sta facendo per gestire i tanti immigrati, ma almeno diciamo le cose come stanno.

 

Diciamo allora che restiamo lontani dai livelli pre-crisi…

L’Italia di oggi non è più quella del 2008, il 20% di attività produttiva è andato perduto perché tante Pmi, grazie alla crisi e alla ricette all’insegna dell’austerità, non esistono più. L’impresa italiana che è rimasta cresce con questo ritmo, non è che possiamo pretendere che possa produrre quanto quella di prima. 

 

Resta però il fatto che la disoccupazione è ancora alta.

Applicando la metodologia che l’Istat ha usato nell’ultimo anno, si vede che negli ultimi tre anni sono stati creati 840.000 posti di lavoro al netto della componente demografica e non 600.000. Questo perché sono entrate in età da pensione quasi 400.000 persone, di cui solo una minima parte, per effetto della riforma Fornero, è rimasta al lavoro: gli altri sono andati in quiescenza. Non si può dire quindi che non sia cresciuta l’occupazione. Certo, non si può pretendere di tornare ai livelli di prima in poco tempo. Cominciamo a vedere quello che di positivo è stato fatto senza demolire gli interventi che sono stati messi in campo.

 

(Lorenzo Torrisi)