La Toyota, che in fatto di qualità fa sul serio, l’ha appena premiata: Arcelor-Mittal – il colosso franco-indiano dell’acciaio candidato a comprare l’Ilva – secondo l’azienda automobilistica giapponese coleader mondiale del settore, ci sa fare sul serio. Se lo augurano caldamente i dodicimila lavoratori dell’Ilva di Taranto che non sanno ancora, ma lo sapranno entro aprile, in quali mani finiranno, dopo essere sfuggiti con fatica e perdite sociali e anche umane dalle grinfie della famiglia Riva.



A fine aprile si saprà quale prevarrà tra le due offerte che entro venerdì dovranno depositare le due cordate concorrenti a guida indiana, quella che appunto aggrega con Arcelor-Mittal anche il gruppo Marcegaglia in qualità di grande consumatore di acciaio, e quella che attorno all’altro colosso indiano Jindal unisce anche Arvedi, Del Vecchio e soprattutto la Cassa depositi e prestiti. A giudicare sulla congruità delle offerte sarà l’advisor Leonardo and Co.. La valutazione finale spetterà al venditore, che è poi il governo.



Intanto Arcelor Mittal sfoggia il suo premio, dicendosi convinta, per bocca di Aditya Mittal, cfo del gruppo e figlio del fondatore Lakshmi Mittal, di avere l’offerta migliore: “Innanzitutto abbiamo una maggiore esperienza; poi abbiamo capacità e forza in termini di sicurezza e alti standard ambientali e sociali che ci permettono di offrire un futuro sicuro a Ilva, con miglioramenti nel breve tempo. Inoltre, siamo leader nella tecnologia di questo settore: vedo l’opportunità per la nostra azienda di contribuire ad un rapido miglioramento di Ilva”. Si vedrà. 

Peraltro, nemmeno Jindal scherza. E ha all’attivo l’appoggio esplicito della “longa manus” del governo italiano, appunto la Cassa depositi e prestiti. “Se ci aggiudicheremo l’Ilva con la compagine di AcciaItalia”, ha dichiarato in un’intervista al Sole 24 Ore il presidente del gruppo Sajjan Jindal, “sarà con il preridotto e altre soluzioni tecniche basate sull’uso del gas come combustibile pulito che faremo tornare blu il cielo e respirabile l’aria di Taranto ed elimineremo sostanze nocive cancerogene come gli Ipa (idrocarburi policiclici aromatici) che sono conseguenza dell’uso del carbone”. Il venditore-Stato, presente anche nella cordata AcciaItalia come co-compratore, vorrà sparigliare a favore del concorrente in cui ha creduto così poco da associarsi al rivale? Misteri italiani.



Come misterioso è a tutt’oggi l’esito della doppia maratona dell’indennizzo da 1,3 miliardi di euro che la famiglia Riva si è impegnata a versare allo Stato per uscire con danni limitati da questa orribile vicenda. Già, perché quei soldi i Riva se li erano stipati in Svizzera, sotto l’amministrazione di un trust inglese che adesso, pur di fronte alla determinazione di pagarli espressa dai loro mandanti in sede di patteggiamento davanti alla magistratura italiana, fa il suo lavoro di trust, dicendo cioè di non avere il diritto di derogare al mandato ricevuto a suo tempo. Insomma, dicendo che non pagherà. Dovrà esprimersi, su questo punto solo apparentemente formale, una Corte del Jersey, la regione inglese in cui risiede il Trust. E potrebbe anche dire no: si vedrà.

Come si vedrà l’esito del nuovo procedimento giudiziario di Milano, dopo la sentenza con cui il Gip ha respinto il patteggiamento approvato dalla Procura che appunto “risolveva” con la dazione dei 1.300 milioni di euro la parte sanzionatoria economica.

Tra mille inghippi giuridici prosegue dunque la storia infinita dell’acciaieria gioiello d’Europa. Con una serie di scenari complessi di fronte a sé. Il futuro dell’Ilva e di chi la comprerà è condizionato anche da dove si fermeranno le bocce di questo doppio contenzioso. Riuscirà il compratore nella duplice impresa di rilanciare la produzione di acciaio a Taranto – che per portare l’azienda in attivo va raddoppiata rispetto a oggi – risanando contemporaneamente l’impianto da un punto di vista ambientale?

Entro venerdì, le cordate depositeranno le loro offerte vincolanti, due plichi enormi con dentro il piano ambientale, il piano industriale e l’offerta economica. I piani ambientali dovranno rispettare le linee guida indicate dai tre esperti governativi che le hanno studiate; il piano industriale dovrà indicare gli obiettivi produttivi ed occupazionali. I lavori di preparazione delle due offerte sono stati ovviamente secretati. La cordata Mittal, però, ha detto di voler portare la produzione a 12 milioni di tonnellate, rispetto alle 5,8 sfornate nel 2016, perdendo però altri 220 milioni a livello di margine lordo, con 2,2 miliardi di fatturato. La cordata AcciaItalia parla di 10-12 milioni di tonnellate nel giro di 3-5 anni.

Intanto, per tutto il 2016 circa 3.000 lavoratori sono stati in regime di solidarietà. E nel 2017 saranno cassaintegrate 3.300 persone. Finché la nuova proprietà – quale che sia – non riuscirà a saturare la capacità produttiva degli impianti, si procederà così, a balzelloni.

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