Chi ha una certa età e ha vissuto il meglio dello Zecchino d’oro non può che riconoscere di trovarsi davanti alla ballata degli elefanti ma al contrario: invece che un passo indietro e tre passi avanti, un passo avanti e tre passi indietro. Così l’Italia che nel momento più difficile e complesso della sua tormentata storia non riesce a trovare una rotta da seguire con continuità e si rifugia nel peggiore passato.
E mentre la Luiss presentava con Invitalia il suo nuovo polo di ricerca sulle politiche di sviluppo e un master di secondo livello con tre laboratori sperimentali sul Mezzogiorno – il tutto affiancato e sostenuto da un Consiglio di saggi coordinato da Alessandro Laterza e formato da Romano Prodi, Giuliano Amato, Jean Paul Fitoussi, Daniel Gros – il governo alzava bandiera bianca sui voucher. Davvero non ce n’era bisogno, davvero nessuno se lo aspettava, davvero si tratta di una doccia fredda per chi ha creduto, pur senza farsi troppe illusioni, che certi tabù fossero stati sconfitti e che, sì, comunque certe conquiste potevano considerarsi acquisite.
Invece la cancellazione di uno strumento nato per contrastare il nero nei lavori occasionali e che comunque incide pochissimo, meno dell’1%, sul monte salari totale del Paese è il segnale assai pericoloso che la realtà può ancora superare la fantasia. E infatti nemmeno la battagliera leader della Cgil Susanna Camusso, nemica giurata dei tagliandi in via di abolizione, poteva sperare tanto mentre puntava a prendersi la rivincita con il contrastato referendum del 28 maggio.
L’esiguità del fenomeno di fronte all’enormità del suo peso simbolico fa capire che si tratta di un rigurgito ideologico del quale non si avvertiva il bisogno, mentre ci si affanna a dichiarare che occorre affidarsi a un pensiero concreto perché la vastità dei problemi da fronteggiare è tale che non possiamo permetterci di cedere oltre un certo limite al fronte massimalista. Invece il limite è stato superato. Ed è un pericoloso segnale perché indica che più che i vecchi e comunque affidabili arnesi della democrazia – con i quali si stava cercando di comporre un po’ di riforme necessarie alla crescita – può il timore di scontentare una parte degnissima di considerazione ma sconfitta dalla storia e dal voto parlamentare. Molto meglio sarebbe allora affrontare l’esito della nuova votazione popolare che, per quanto forzata, sta nelle regole.
Dunque, sconcerto del mondo imprenditoriale – per il modo ancor più che per la sostanza – e constatazione dell’assoluta fragilità della casa riformista le cui fondamenta rischiano di crollare a ogni soffio di vento determinando quell’incertezza che è alla base della diffidenza degli investitori internazionali e del disimpegno di quelli nazionali. Di questo passo, uno avanti e tre indietro, miniamo la credibilità del Paese mentre evitiamo di rispondere all’Europa sulla correzione dei conti, le cronache giudiziarie occupano sempre maggiore spazio, i giovani continuano a cercare fortuna altrove.