Avere successo insieme o diventare irrilevanti separatamente è l’alternativa di fronte alla quale i presidenti delle Confindustrie europee dei Paesi fondatori hanno messo i rispettivi governi nel giorno del Sessantesimo anniversario dei Trattati di Roma. La dichiarazione è stata consegnata per tutti al presidente del Consiglio italiano Paolo Gentiloni, al presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani e lo sarà presto anche al presidente del Consiglio europeo Donald Tusk.
Dal mondo imprenditoriale viene dunque uno stringente monito al mondo della politica e delle istituzioni. Che cosa vogliamo fare del nostro futuro mentre celebriamo il nostro passato? Ci faremo assalire e sconfiggere dai problemi che oggi nessuno può negare decidendo di andare ciascuno per la sua strada o sapremo recuperare i valori che diedero vita all’Unione rinverdendoli e rilanciandoli a beneficio di tutte le popolazioni? La comunità delle imprese non ha dubbi e ribadisce il sostegno al progetto unitario che sarà anche in grave crisi, ma, per parafrasare una celebre espressione, resta comunque il migliore che c’è. D’altra parte, si fa notare, non si possono dimenticare i progressi che il Vecchio continente è riuscito a conseguire da quando si è consorziato e bisogna avere fiducia nella possibilità che le ragioni dello stare insieme ritrovino la voglia di farsi riconoscere e rispettare.
Non sfugge alla rappresentanza delle forze produttive il sentimento dei tempi fatto di una tale pasta di scetticismo da scadere nella voglia di protezionismo e quindi in un nuovo egoismo dal quale si attendono risposte che l’integrazione non ha saputo dare. I cambiamenti sono stati così veloci e radicali da aver sorpreso un po’ tutti e, sì, è vero che la reazione non è stata efficace e rapida come avrebbe dovuto anche a causa di un elefantismo che potevamo evitarci. Ma gli errori commessi non devono essere la scusa per commetterne altri, magari ancora più grossi. La grande casa comune edificata per ottenere pace e crescita dopo anni di guerre e carestia deve tornare a fornire un tetto ristoratore per tutti i suoi abitanti e dunque dovrà modificare sensibilmente il suo funzionamento. Sempre meno macchina burocratica a beneficio di pochi privilegiati e non più camicia di forza per tanti suoi abitanti.
Il nodo che occorre sciogliere, come ormai risulta evidente, è di carattere economico. La rivoluzione tecnologica ha segnato un cambiamento epocale al quale non ci si può ribellare perché inutile e velleitario. Occorre invece comprenderne fino in fondo la portata per limitare le minacce che inevitabilmente comporta e ampliare le opportunità che contiene. Con nuove politiche, nuovi strumenti, nuove combinazioni di quelle e di questi.
Bisogna ritrovare il coraggio delle scelte giuste non perché agganciate a un parametro, ma perché foriere di benessere per il maggior numero possibile di persone. Bisogna tornare a volare alto per restituire libertà e dignità ai popoli e ai singoli individui che li compongono. Dalle fabbriche, dai luoghi di produzione che rispondono tutti alle stesse leggi e dove si parla la stessa lingua, può nascere l’impasto per ristrutturare la grande e scricchiolante costruzione europea.