L’amministrazione Trump sta passando dalle parole ai fatti. Si profila, infatti, il varo della prima concreta misura di stampo protezionistico. Secondo il Wall Street Journal, il governo americano sta valutando di imporre dazi punitivi del 100% su prodotti come gli scooter Vespa (Piaggio), l’acqua Perrier (Nestlé, che produce anche la San Pellegrino) e il formaggio Roquefort in risposta al bando Ue sulla carne di manzo americana di bovini trattati con gli ormoni. Nella lista nera, anche le moto da cross della svedese Husqvarna Group e dell’austriaca Ktm-Sportmotorcycle. I paesi europei potenzialmente più colpiti sono Germania, Francia e Italia, per i quali i dazi potrebbero riguardare anche i “pomodori, interi o tagliati, preparati o preservati se non con aceto o acido acetico”.
Dietro queste possibili misure protezionistiche, ci sarebbero le proteste dei produttori di carne di manzo americani, secondo i quali l’Ue non ha aperto abbastanza i propri mercati alla loro carne di manzo non trattata con gli ormoni, come prevedeva un accordo del 2009. Al centro dei lavori dell’amministrazione Trump, resta anche la riforma fiscale e, come più volte dichiarato dallo stesso Presidente Usa, il piano sarà concentrato sulla creazione di posti di lavoro e sulla crescita economica, piuttosto che sul riequilibrio dei conti.
Naturalmente Trump dice che per le aziende che andranno a produrre negli Usa non solo non ci saranno dazi, ma, anzi, agevolazioni importanti. Naturalmente, le politiche protezionistiche preannunciate da Trump e la riformulazione dei grandi trattati commerciali (Ttp, Ttip e Nafta) possono innescare ritorsioni da parte di altri paesi, con un effetto domino per l’intera economia globale. È l’allarme lanciato anche dal Centro studi Confindustria, secondo cui comunque “la tendenza al protezionismo non è una novità, visto che costituisce una delle cause principali del rallentamento degli scambi mondiali (…) Dazi e altre barriere commerciali, però, non sono la soluzione, anzi aggravano il problema. Occorre, invece, creare le condizioni per una crescita solida, inclusiva e sostenibile. Irrobustendo, su scala nazionale, gli strumenti di supporto per le classi medio-basse e le misure a favore dell’innovazione; riattivando, a livello globale, il circolo virtuoso tra commercio estero e crescita del Pil”.
Posto che quanto emerge da Confindustria è alquanto condivisibile, va detto che il piano del Presidente americano pare piuttosto debole. Al di là del fatto che si può comprendere la preoccupazione per l’economia domestica, risulta alquanto parziale il ragionamento “venite da noi a produrre che vi agevoliamo”. Prendiamo un paese come l’Italia, che eccelle nella manifattura e, soprattutto, in quella di alto valore aggiunto. Storicamente, questa eccellenza si è sviluppata in casa nostra, e questo è un fattore prima di tutto culturale. Oggi purtroppo il nostro Paese attraversa una fase in cui il lavoro manuale si è, almeno in parte, svalutato. Ma resta l’eccellenza dei nostri distretti di produrre manufatti – dalla moda, al vino, all’agro-alimentare e, anche, alla componentistica elettronica – che hanno fatto e continuano a fare il giro del mondo. Sono questi i “gioielli” che gli Usa non produrranno mai e che continueranno a comprare da noi, con o senza dazi.
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