In un bell’articolo sulla Stampa, l’ex direttore esecutivo del Fondo monetario internazionale Andrea Montanino, ora responsabile del pensatoio Atlantic Council, ha scritto che l’Italia è oberata da almeno tre grandi problemi, ma può contare su potenzialità che pochi altri Paesi hanno. I punti negativi – ben conosciuti anche in patria – sono l’alto debito pubblico, il cui costo è destinato a salire con l’inevitabile aumento dei tassi d’interesse, l’enorme ammontare delle sofferenze bancarie che compromette il buon funzionamento del credito, l’incertezza politica e istituzionale.



La somma di questi tre grandi pesi rallenta la crescita che non a caso si profila come la più bassa tra le economie avanzate e, nonostante l’ottimismo di maniera sfoderato dal governo, non sembra agli organismi internazionali che il futuro si presenti roseo per il nostro tormentato consesso. Ma, e qui vengono gli aspetti positivi, la nazione può contare su una classe imprenditoriale particolarmente capace, come dimostra la sua vivacità in campo internazionale dove domina in molte nicchie superando concorrenti in apparenza meglio piazzati e attrezzati.



Perché non puntare su questi campioni – sulle loro belle storie, sui sacrifici che compiono, sui successi che raccolgono – per cambiare il volto con il quale ci presentiamo al cospetto del mondo? Perché siamo così bravi a esibire le debolezze e così reticenti a mostrare la forza soprattutto quando è sana? Ecco che cosa si domanda Montanino e il caso vuole che la risposta sia arrivata quasi in tempo reale complice il convegno organizzato a Washington da Confindustria e Abi per parlare delle imprese italiane e delle banche al cospetto delle nuove sfide che la globalizzazione pone.



Presente il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, reduce dall’estenuante tira e molla dal quale è scaturita la manovra appena varata con lo strascico di polemiche che si porta dietro, il compito di passare al contrattacco se l’è assunto il numero uno degli industriali Vincenzo Boccia. Consapevole della ricchezza imprenditoriale insediata sul territorio e della proiezione internazionale dei nostri prodotti di qualità, il Presidente ha ricordato che l’Italia è la seconda potenza manifatturiera in Europa dopo la Germania rivendicando un ruolo e un posizionamento quasi mai riconosciuti.

Capovolgendo lo stereotipo di un Paese impaurito e inabile a reggere la competizione, Boccia ha ricordato che le medie attraverso le quali si giudica l’Italia non sono rappresentative di una realtà che può vantare punte d’eccellenza e intelligenze che non temono rivali. Certo, chi arranca dev’essere aiutato ad allungare il passo. E il cammino di tutti resta ingombro di ostacoli, nella maggior parte dei casi generati da una cultura anti-industriale che fa a pugni con la consistenza e la tradizione di un apparato produttivo fiaccato ma non vinto dalla crisi.

È dunque l’ora di voltare pagina e scriverne di nuove che raccontino di successi e opportunità, di coraggio e di valore, del cocktail di concretezza e fantasia che fa dell’innovazione diffusa una caratteristica di un popolo di santi e navigatori da sempre industrioso quasi quasi a sua insaputa.