Nel primo trimestre dell’anno, il Pil è cresciuto dello 0,2% rispetto al mese precedente e dello 0,8% nei confronti dello stesso periodo del 2016. È la stima dell’Istat che sembra confermare le previsioni di primavera della Commissione europea, in cui l’Italia risulta “maglia nera” della crescita: l’Eurostat, infatti, ha fatto sapere che la crescita del Pil dell’Eurozona è stata dello 0,5% (addirittura dell’1,7% su base annua). «Trovo scandaloso commentare uno 0,2% come se fosse un numero positivo: 0,2% è zero, come lo zero in condotta che si meritano i ministri dell’Economia e dello Sviluppo che si sono succeduti nel nostro Paese dal 2011 in poi, per non essersi comportati come dovevano nella classe della buona politica economica». Questo il commento di Gustavo Piga, Professore di Economia politica all’Università Tor Vergata di Roma.



Professore, perché l’Italia continua a crescere meno degli altri paesi europei?

Da tempo siamo la Cenerentola d’Europa. Lo eravamo anche prima, quando i tempi erano buoni, perché avevamo una carenza strutturale che ci trasciniamo ancora: una macchina della Pubblica amministrazione assolutamente deficitaria. Siccome la Pa è fondamentale per il successo dell’economia privata, abbiamo sempre avuto negli ultimi 20 anni un ritardo su questo fronte. A ciò si è aggiunta dal 2007-08 in poi un’assurda gestione della crisi economica, malgrado tutte le evidenze empiriche sul fallimento delle politiche di austerità, come il continuo aumento del debito pubblico. 



C’è la possibilità di dare una svolta alla nostra crescita?

L’Italia potrebbe crescere del 2% in più in tempi rapidissimi se facessimo le politiche economiche giuste. Se poi ci aggiungessimo la spending review, all’interno della quale si possono trovare fondi per riavviare le competenze del XXI secolo che sono necessarie per la Pa, nel lungo periodo potremmo crescere tranquillamente del 3%. Ricordo che soltanto se crescessimo sopra il 2% ci sarebbe un aumento dell’occupazione. Gli attuali “zero virgola”, infatti, generano solo minor occupazione, perché le imprese al massimo fanno lavorare di più i dipendenti che già hanno. 



Quali sono le politiche giuste da mettere in campo?

Un grosso problema è la mancanza di investimenti privati nel nostro Paese, dovuto anche al fatto che in cinque anni gli investimenti pubblici sono diminuiti del 27% in termini reali. Questo ha fatto aumentare il gap infrastrutturale dell’Italia nei confronti degli altri paesi e non ha certo stimolato gli investimenti privati. Occorre quindi dire chiaramente all’Europa che non abbiamo intenzione di superare il 3% del deficit/Pil previsto da Maastricht, ma fino a quando l’economia non riparte non ha alcun senso continuare a paventare manovre come l’aumento dell’Iva – cosa che non fa altro che mandare messaggi negativi alle imprese – per provare a raggiungere lo 0% di deficit/Pil. In realtà si raggiunge solo lo 0% di consenso per questo progetto europeo che crea disoccupazione e pessimismo. 

Quante risorse in più ci sarebbero per la crescita?

Rispetto alle richieste del Fiscal compact si libera il 3% di Pil, circa 50 miliardi di euro, per sostenere la domanda pubblica e riattivare l’ottimismo privato. A quel punto il rapporto debito/Pil comincerà a scendere nonostante l’aumento degli investimenti pubblici. Bisognerà certamente attivare una spending review contro gli sprechi anche per convincere la Germania che siamo seri e che possiamo spendere bene le risorse. Attraverso di essa ci sarebbero altri 20 miliardi a disposizione. Dunque in tutto ci sarebbero 70 miliardi, che possono tranquillamente trasformarsi in 2-3% di Pil in più. Tutte le altre formule hanno fallito, questa va approvata per salvare l’Europa. 

A proposito di Europa, ci sono grandi aspettative sul ruolo che potrà avere Macron, anche dopo l’incontro che ha avuto con la Merkel. Lei cosa ne pensa?

Intanto abbiamo evitato lo smembramento dell’Ue – inevitabile in caso di vittoria della Le Pen – che sarebbe solo negativo, riavvicinerebbe scenari di quasi un secolo fa, come si vede negli attuali rapporti tra cittadini di Germania e Regno Unito dopo la Brexit. Abbiamo quindi guadagnato del tempo, che però va ben utilizzato, perché non ce n’è molto a disposizione, in maniera oculata. Avevamo avuto speranze con Hollande, e anche con Renzi, ma purtroppo quello che abbiamo visto è stato tutt’altro, non è cambiato nulla. Vedremo come si comporterà Macron: per lui sono già pronte delle prove.

Quali?

Certamente il progetto di difesa comune europea, su cui la Francia è stata sempre restia. Ma la prova più importante è se firmerà o meno l’inserimento del Fiscal Compact nell’ordinamento giuridico dell’Ue. Se firmerà avrà rivelato di essere il solito politico identico a tutti gli altri. Spero poi che venga bloccata l’ipotesi di un super-ministro delle Finanze europeo. 

Perché?

Negli Usa c’è qualcosa di simile, ma ci sono arrivati dopo 140 anni di battaglie tra di loro, di avvicinamento culturale perché quel ministro rappresentasse tutti. Se oggi avessimo un ministro unico europeo sono certo che non rappresenterebbe le esigenze e gli ideali di tutti i cittadini, ma solo di una parte dominante, quella dei paesi del Nord. Sarebbe ancora peggio di oggi. Mi preoccuperebbe molto se Francia e Germania finissero per aderire a questa proposta. 

Come pensa che si comporterà Macron?

Sono abbastanza scettico sul fatto che possa rappresentare il contraltare necessario alla politica economica tedesca. Io credo che le persone dovrebbero mobilitarsi, non restare a casa a guardare la televisione, per dire al Governo italiano che non deve mettere la sua firma all’inserito del Fiscal compact nell’ordinamento giuridico dell’Ue. Non mi sembra che questo Governo abbia il DNA per fare un passo che io ritengo minimale, ma che sembra troppo coraggioso per i nostri governanti. Dobbiamo far però sentire la pressione per cambiare questa Europa, anche per il bene dei giovani.

(Lorenzo Torrisi)