C’era un grossista di Grosseto. Aveva venduto 400 mq di marmo di Carrara a un vip di Manhattan che doveva ristrutturare casa. Ma ecco che prima della casa il vip cambia la moglie, e a quella nuova piace solo il parquet. Il marmo, già pagato, viene rispedito a Grosseto: il vip non rivuole i soldi e il grossista, dal cuore grande, lo regala a una onlus da cui è rimasto molto colpito: Banco Building. Banco Building lo offre al monastero di Valserena, vicino a Cecina, in modo che il trasporto costi poco. Operazione chiusa? Macchè. Le suore hanno un monastero in Congo, stanno costruendo una chiesa proprio di 400 mq. Ed ecco allora che il marmo venduto dal grossista di Grosseto, scartato a New York, tornato in Italia e donato a Valserena (perché il trasporto costava poco) oggi fa da pavimento a una chiesa in Congo. E’ una bella storia, ma è solo una delle oltre 300 che dal 2009 costellano l’operato di Banco Building, una onlus che non ha corrispettivi in tutta Europa. Nata per trasformare in risorsa per il non profit le eccedenze produttive, sul modello degli altri “Banchi”, è partita dal settore edile per allargarsi via via a tutto ciò che gli altri Banchi non trattano: arredo, tessile, macchinari, attrezzature. Un vero e proprio “Banco delle cose”.



Come sempre, l’idea nasce da una circostanza: il rapporto personale del fondatore, Silvio Pasero, con un imprenditore di sanitari, che quando poteva donava le sue eccedenze a questa o quell’opera. Insieme intuiscono che rendendo stabile e non episodica la possibilità per le aziende di donare le eccedenze ci sarebbero grandi vantaggi per tutti: l’imprenditore libera spazio in magazzino, risparmia le spese di trasporto e smaltimento, gode di esenzioni IVA, si libera di poste di bilancio tassabili. Le opere di carità – dal canto loro – devono solo andare a ritirare la merce e la comunità tutta ne trae beneficio.



Detto, fatto. Il Banco è sorto così. Anticipando quello che oggi, dopo il profitto, è il secondo irrinunciabile elemento strategico di un’azienda: la corporate social responsability. Più le aziende sono grandi e più devono assicurare che il proprio modo di fare business sia sostenibile: e un modo concreto di farlo è proprio usare bene le eccedenze. Una delle chiavi del successo di Banco Building è il modello operativo: costi ridottissimi, solo collaboratori volontari e operatività “just in time”, cioè senza un metro quadrato di magazzino.

Quando un’azienda segnala una disponibilità, viene consultato il database delle richieste e si realizza l’abbinamento. All’opera di carità non resta che andare a ritirare il materiale donato sostenendo solo le spese di trasporto (che avrebbe comunque). In questo modo non ci sono costi per trasferimenti inutili, ma soprattutto chi dona sa a chi dona. Avendo così tracciabilità permanente sulla destinazione e l’utilizzo dei suoi beni. Insomma, Banco Building non ritira niente: fa “solo” un colossale lavoro di matching che ha effetti sorprendenti. “Ormai il modello funziona ed è professionale – dice Pasero – È utile alle aziende che fanno business etico e godono di un servizio gratuito, e alle opere che possono avere materiali e infrastrutture spesso indispensabili alla loro stessa esistenza. Trattiamo beni per un valore stimato di 1 milione di euro.



Ma c’è ampio spazio per crescere. ”E l’obiettivo è proprio questo. Banco Building ha oggi rapporti stabili con aziende e associazioni di categoria, ma occorre far crescere la rete: solo facendosi conoscere si può evitare che le richieste non vengano accolte o le disponibilità non trovino risposta. “Non vogliamo ingigantirci, vogliamo solo fare in modo che questa opportunità diventi una prassi abituale per aziende e onlus.” Una logica di sussidiarietà, che risponde perfettamente anche a quel “combattere la cultura dello scarto” a cui il Papa richiama tutti: imprenditori, operatori del sociale e, naturalmente, grossisti di Grosseto.