Come ogni anno, prima della pausa d’agosto, la Svimez presenta l’anticipazione del rapporto annuale sull’andamento dell’economia del Mezzogiorno. Questa volta con meno pathos che in passato, anche se le preoccupazioni per il futuro non mancano e non potrebbe essere diversamente se alla velocità attuale il Sud potrà recuperare le posizioni di prima della crisi solo nel 2028, cioè con dieci anni di ritardo rispetto al Centro Nord.



Il motivo dominante è sempre lo stesso: la distanza tra le due parti del Paese, che questa volta si richiude timidamente, anche se resta ancora molto larga considerate le condizioni di partenza, peggiorate nell’ultimo periodo e in recupero solo a partire dal 2015. Se le aspettative non saranno tradite è però il 2016 l’anno della svolta, perché conferma la tenuta dei mesi precedenti e consolida la crescita che nelle regioni meridionali risulta superiore a quella settentrionale.



L’inversione avviene prevalentemente grazie al settore manifatturiero e questo è un bene per almeno due ordini di ragioni: perché l’industria resta il miglior motore dello sviluppo e perché si dimostra che gli strumenti messi in campo per conseguirlo una volta tanto mostrano di funzionare. Tutto questo senza aver potuto ancora sperimentare l’impatto sul territorio delle misure contenute nei due decreti sul Mezzogiorno.

Si tratta di poderosi acceleratori a patto che si riuscirà a utilizzarli al meglio vincendo l’atavica incapacità di spesa – in qualità e quantità – delle amministrazioni locali. Il provvedimento più rivoluzionario è quello che appare il più normale: la destinazione al Sud, a partire dal 2018, di una quota della spesa pubblica centrale del 34% e dunque pari al peso della sua popolazione. Una condizione di equità che solo raramente si è verificata.



Poi ci saranno le zone economiche speciali che si aggiungono al piano nazionale per Industria 4.0, al credito d’imposta per gli investimenti, agli esoneri contributivi per le nuove assunzioni, ai contratti di sviluppo gestiti da Invitalia, ai Patti governativi con Regioni e Comuni che configurano il famoso Masterplan. Una batteria di opportunità che non era mai stata sperimentata prima per intensità e numero. Qualcosa di buono dovrà pure accadere.

Le premesse ci sono tutte per fronteggiare l’emergenza principale che resta quella del lavoro. Nonostante il recente aumento di 100.000 unità, infatti, solo per raggiungere il livello del 2008 occorre recuperare altri 380mila occupati. E saremmo ancora lontani da un risultato soddisfacente soprattutto in campo giovanile dove si scontano le maggiori criticità. Dieci meridionali su cento vivono in condizioni di povertà assoluta e la gente continua a emigrare.

Se non si sarà capaci di sanare queste fratture con i mezzi oggi disponibili, il Sud continuerà a essere distante dal Nord e l’Italia, tutta intera, resterà lontana dall’Europa che progredisce a una velocità doppia nella zona dell’euro e più che doppia nel più ampio ambito dell’Unione, con un allungo di 10 punti dal 2008, anno primo della crisi. Di qui la tentazione mai sopita della parte alta dello stivale di staccarsi da quella bassa e andare per la sua strada.

Ma sarebbe un calcolo mal fatto. Come quello di un atleta con una gamba forte e una debole che si facesse venire la tentazione di rinunciare alla seconda, invece di curarla e irrobustirla, nell’illusione di poter correre più veloce con un arto solo…