L’incertezza regna sovrana. Mentre i guru del Fondo monetario internazionale, dell’Ocse e di altre primarie istituzioni internazionali scommettono su una ripresa vera e duratura, il governatore della Banca d’Italia Ignazio Visco parlando al Meeting di Rimini invita a non cedere ai facili entusiasmi perché il miglioramento dell’economia rischia di essere null’altro che passeggero. Mettendo a confronto le due posizioni appare evidente che i primi osservatori guardano con fiducia alla dinamica mondiale (con un aumento del Pil atteso per quest’anno pari al 3,5%), mentre il secondo tiene d’occhio quello che accade in Italia dove, con tutta evidenza, esiste qualche preoccupazione che non è possibile dissipare con il solo esercizio dell’ottimismo.



La stagione pre-elettorale che ci accingiamo ad affrontare, in particolare, non fa presagire nulla di buono. E i segnali che giungono dal fronte della politica diventano ogni giorno più chiari: le riforme per rendere il Paese più competitivo sono belle e care, ma ancora meglio appaiono quei provvedimenti che aiutano a raccogliere voti anche se a lungo andare si dimostreranno dannosi. Il punto è questo. In un frangente di risorse scarse bisognerebbe avere il coraggio di scegliere dove e come puntare la posta perché possa fruttare al meglio in una logica selettiva tenendo a mente il detto napoletano per il quale una ricchezza frammentata diventa spazzatura (munnezza). Eppure, la tentazione di dare poco a tutti nell’illusione di non scontentare nessuno sembra avanzare inesorabilmente.



E così, mentre avremmo bisogno di proseguire con fermezza sulla strada delle riforme, consolidarne i risultati e potenziarne la portata per affermare una rinnovata capacità di stare sui mercati internazionali, prima di tutto come sistema, corriamo il rischio di compromettere i progressi conseguiti e perdere tutto il terreno che con sacrificio avevamo conquistato.

Il campo più difficile dove si confronteranno le due scuole di pensiero e di azione – scelte mirate, aiuti a pioggia – sarà quello del lavoro dove più alta è la sensibilità degli italiani. E a ragione, dal momento che il livello dei disoccupati, soprattutto in bassa età, è assolutamente incompatibile con la forza industriale che il Paese comunque esprime come seconda manifattura d’Europa.



La posizione di Confindustria è nota e il presidente Vincenzo Boccia l’ha ribadita con forza proprio al Meeting di Rimini: per assicurare l’assorbimento di almeno 900mila giovani in tre anni sarà necessario eliminare del tutto e per l’intero periodo l’aggravio fiscale perché solo in questo modo potranno crearsi le condizioni di un’inclusione che spingerà in avanti consumi, domanda ed economia.

Non è più tempo d’incertezze, di mezze misure, di mance a buon rendere. Il consenso oggi si nutre di risultati e i risultati arrivano se si punta a un obiettivo con decisione e volontà di raggiungerlo scansando il fosso del vorrei ma non posso. I prossimi mesi saranno un importante banco di prova per capire se abbiamo o meno imparato la lezione. Se crediamo in quello che diciamo oppure no.