Se vogliamo che dispieghi completamente la sua efficacia, Industria 4.0 non può rimanere un sistema di incentivi fiscali, per quanto valido, da confermare anno per anno. Tutti devono convincersi che si tratta invece di un processo di trasformazione complessivo del Sistema-Italia che deve coinvolgere tutte le sue componenti lungo un arco di tempo importante, dalla scuola alla burocrazia all’intera società civile, cosicché tutti possano raccoglierne i benefici”. Sandro Salmoiraghi, da poco riconfermato alla guida di Federmacchine, non attende l’inizio della bagarre autunnale sulla legge di stabilità per ricordare che il piano sulla digitalizzazione è già un successo tattico di poltica industriale, ma che il successo strategico è ancora tutto da costruire. Anzi la fase decisiva inizia ora. 



E’ stato Salmoiraghi, industriale “meccatronico”dal 1963 a Monza, che all’ultima assemblea della federazione delle 13 associazioni fra i costruttori di beni strumentali ha annunciato che Industria 4.0 funziona: il 65% dei nuovi ordini raccolti all’interno è stato agevolato dal regime di iper-ammortamento mentre il 35% si è avvalso del superammortamento. E per il 2017, ha confermato il presidente Federmacchine, i comparti associati si attendono una crescita superiore al 4%, grazie anche all’ importante ripresa del consumo interno, trainato dagli incentivi e dalla necessità di restare competitivi.



Presidente Salmoiraghi, all’ultima assemblea era collegato il ministro per lo Sviluppo economico Calenda. Lei ha dato atto che “con il piano nazionale Industria 4.0, l’Italia si è dotata di un progetto di politica industriale efficace, un caso positivo in Europa”. Ora chiede di insistere senza esitazioni.

Certamente. I frutti di un piano come Industria 4.0 non possono maturare davvero senza un orizzonte temporale adeguato, diciamo di almeno cinque anni. Un paese come l’Italia – seconda potenza manifatturiera europea e quinta al mondo – ha il dovere di mettere l’industria al centro delle proprie grandi scelte. E l’industria meccanica è da sempre uno dei cuori e motori di questa forza imprenditoriale. Il piano del governo ha avuto un duplice merito: scuotere anzitutto l’intero sistema manifatturiero nazionale, sollecitandolo a investire dopo anni di rallentamento forzato dalla recessione, svecchiando il parco-macchine. E sull’altro lato questa domanda di tecnologie produttive innovative si è indirizzata verso altre imprese italiane: perchè i beni strumentali sono un’importante componente del Made in Italy come il fashion il food il forniture. Troppo spesso dimentichiamo che il 30% dei componenti di un automotive d’eccellenza come quello tedesco è sviluppato e prodotto in Italia a dimostrazione di competenze e qualità riconosciute anche dai nostri maggiori concorrenti. Dobbiamo sentire questo orgoglio del saper fare e credere in noi stessi e nei nostri prodotti.



Calenda al recente Meeting di Rimini ha prospettato una sviluppo di Industria 4.0 sul versante dell’education.

E’ un’idea di estremo interesse, che Federmacchine condivide: proprio perche noi produttori per primi siamo convinti che Industria 4.0 non possa limitarsi ad un aumento temporaneo di ordini. Industria 4.0, deve creare valore diffuso di lungo periodo nell’Azienda-Italia anche attorno alle fabbriche. Anzi: il successo del piano si deciderà molto fuori dagli impianti. Noi, fino ai nostri cancelli, abbiamo imparato a essere competitivi. Industria 4.0 deve accelerare la competitività del sistema-Paese dove i ritardi si sono accumulati creando quel gap che pesa sulla crescita. Non per caso la scuola è certamente poco allineata con la richiesta di competenze da parte dell’impresa.

L’Istat dice che la disoccupazione giovanile resta oltre il 35%…

E’ vero, però io non riesco a trovare specialisti di software di cui la mia azienda ha bisogno. E mi chiedo, ad esempio, se questi posti di lavoro restino vuoti – o vadano a lavoratori non italiani – perché la scuola italiana non riesce a formare abbastanza figure professionali come i periti industriali, fondamentali per un paese manifatturiero. Ma la scuola non è la sola responsabile: il lavoro in fabbrica – anche nell’era della meccatronica – continua a non essere socialmente riconosciuto, anzitutto nelle famiglie. E invece oggi un giovane che lavora nell’industria meccanica italiana coglie opportunità reali, è al centro dell’economia globale, cammina nel futuro. Certamente deve reggerne il passo: dev’essere un professionista globale e se il più grande stabilimento del mondo è diventato la Cina, bisogna andarci, lavorarci, confrontarcisi. Vediamo se Industria 4.0 riesce a cambiare le vedute e meglio orientare le scelte dei ragazzi delle superiori, senza dimenticare i loro insegnanti che devono stare al passo con gli sviluppi tecnologici e coltivare quella cultura industriale per troppo tempo relegata in soffitta. Il ministro pensa a “Formazione 4.0”? Siamo con lui, le nostre fabbriche sono aperte.

Lei ha già detto di temere che gli slanci di Industria 4.0 possano essere frenati da “Burocrazia 0.4”.

Vorrei che fosse un gioco di parole, ma purtroppo non lo è: è invece difficile pensare che un paese in cui un fallimento o una causa civile dura dieci anni possa restare stabilmente nel G8. La trasformazione digitale che Industria 4.0 chiede alle imprese deve trasmettersi anche alla Pa e ai grandi sistemi infrastrutturali. Industria 4.0 è un ripensamento integrale dei modi di produzione e distribuzione di beni e servizi: nel privato come nel pubblico. Un medio imprenditore, nel 2017, può doversi interfacciare con decine di enti e istituzioni: puntare sull’automazione digitale vuol dire ricominciare seriamente ad abbattere gli oneri impropri ed avviare il Paese sulla strada dell’efficienza e della modernità, esattamente quello che le imprese stanno facendo per restare competitive in un mondo che corre e che ci impone di non restare indietro.