Si è svolto a Roma il primo Forum economico italo-francese sotto l’egida della Confindustria e dell’organizzazione gemella d’oltralpe, il Medef. Due giorni d’incontri e confronti alla presenza dei due presidenti, Vincenzo Boccia e Pierre Gattaz, e di una cinquantina di imprenditori e manager tra i più influenti di entrambi i Paesi. Si è pure firmata una dichiarazione congiunta, sul modello di quella siglata con i tedeschi della Bdi, alla quale ha aderito anche la Federazione banche, assicurazioni e finanza (Febaf) guidata da Luigi Abete, in una cerimonia che si è svolta presso l’ambasciata di Francia in Italia alla quale ha preso parte il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni.
Nonostante la vicinanza dei due Paesi, fisica e in parte anche culturale, e i numerosi scambi che da sempre caratterizzano i rapporti delle due nazioni, prima d’ora non si era mai provveduto a costruire una cornice formale entro la quale inserire i tanti esempi di collaborazione. Frutto di quello che il sottosegretario Sandro Gozi ha chiamato il Paradosso della prossimità. Siamo così uniti geograficamente da dare per scontata la fluidità di una relazione che invece la storia si è incaricata di rendere complicata, soprattutto per il ricordo della Seconda guerra mondiale, quando c’incaricammo di attaccare il nostro dirimpettaio mentre già soccombeva sotto il peso dell’avanzata tedesca. Scherzi che non si dimenticano facilmente.
Infatti, la diffidenza non è mai scomparsa. E quasi sempre le acquisizioni tentate da una parte e dall’altra sono state vissute e raccontate come vere e proprie battaglie, come se in gioco non ci fossero i pacchetti azionari delle aziende ma l’onor di patria. L’ultimo episodio che ha avuto come protagoniste Fincantieri e Stx Saint-Nazaire non è sfuggito a questa logica. Tutto questo per sottolineare l’importanza dell’accordo raggiunto che precede e rinforza il cosiddetto Patto del Quirinale al quale stanno lavorando Gentiloni e il presidente francese Emmanuel Macron con l’obiettivo di formare un fronte comune contro i populismi e rilanciare una stagione riformista che restituisca vigore all’Europa.
L’asse italo-francese si gioca essenzialmente su undici punti che vanno dall’unione economica e monetaria a una maggiore uniformità nella tassazione, dal rilancio competitivo alla trasformazione digitale, dal ruolo dell’innovazione agli investimenti in infrastrutture, dal potenziamento del credito alle imprese alla formazione, dalla difesa comune alle politiche per l’Africa. Un punto qualificante riguarda il nuovo bilancio comunitario, soprattutto dopo l’abbandono della Gran Bretagna e il diverso atteggiamento della burocrazia di Bruxelles nei confronti delle imprese che si avvicinano all’utilizzo dei fondi strutturali oggi condizionato da un’eccessiva complessità. Il tentativo è formare un’Europa più amica della crescita.
L’industria – nella sua accezione larga di manifattura, edilizia, turismo, cultura, servizi – si mette alla guida dell’Europa nella consapevolezza che solo facendo corpo e limitando gli egoismi sarà possibile difendere il mercato più ricco del mondo dalla concorrenza aggressiva di giganti politici ed economici come Stati Uniti, Cina, Russia, India.