L’Europa è stata il tema dominante della due giorni caprese dei Giovani imprenditori di Confindustria. L’Europa Unita. Ma unita per davvero e non solo nel nome in ditta. Affermarlo mentre Bruxelles ci bacchetta per una manovra che si discosta in modo particolarmente evidente dalle promesse e dalle aspettative può sembrare fuori tempo, ma non lo è. Anzi, al contrario, non c’è momento migliore di questo per rilanciare una questione che ha tanto appassionato i padri fondatori e tanto deluso i cittadini che si sono svegliati dal sogno in cui hanno creduto con una preoccupante dose di malessere. Questa Europa non è quella immaginata sessant’anni fa. E ha urgente bisogno di un tagliando che la rimetta in pista prima che vada in tilt.



Reinterpretarla è l’unico modo che abbiamo per salvarla. L’insoddisfazione crescente, non solo in Italia, che lancia sulla scena politica formazioni sovraniste e nazionaliste non può essere spiegata con l’atteggiamento infantile di masse che non hanno compreso quale sia il loro vantaggio. Se il popolo, per usare un termine tornato in voga, si ribella occorre comprendere le ragioni.



E passare subito ai rimedi. Che non possono consistere nella difesa dura e pura di quello che c’è perché vorrebbe dire condannare al crollo certo l’intera costruzione. Particolarmente fragile anche a causa del veloce allargamento a est che ha consentito di risolvere alcuni problemi d’inclusione, ma ne ha creati molti altri di coesione. Cosicché oggi paghiamo anche le conseguenze del troppo entusiasmo.

Questa legislatura è agli sgoccioli. E i partiti dominanti in Italia, Lega e 5Stelle, non perdono occasione per ricordarlo minacciando o promettendo di cambiare il gioco una volta saliti al potere sull’onda del rifiuto montante delle regole oggi vigenti nell’Ue e di come si è inverata la globalizzazione: allargando le distanze tra ricchi e poveri e facendo lievitare il numero degli indigenti.



Chi è affezionato al sogno europeo deve spingere per una riforma radicale dell’Unione e delle sue regole. Ed è il senso della posizione espressa più volte, e ribadita a Capri, dall’economista Paolo Savona, oggi ministro proprio agli Affari europei, che su questo tasto batte da anni prima inascoltato, poi frainteso, infine strumentalizzato. Eppure, tutti sanno che chi non cambia muore.

Ci vorranno coraggio, certo, e proposte credibili per modificare alla radice l’immagine di un’Istituzione che non appare più in grado di garantire nemmeno il bene primario della pace, suo obiettivo primario finora garantito. Il faro della nuova Europa dovrà essere la crescita, sotto tutti i punti di vista, superando il mito della stabilità fine a se stessa che a lungo andare non regge.

E chi, meglio dei Giovani imprenditori, può intestarsi questa trasformazione? Chi più di loro possiede energie, risorse e interesse da investire nel lungimirante progetto che appare all’orizzonte? Partendo dalle ragioni dell’industria che vuol dire lavoro produttivo, capacità competitiva, innovazione e anche solidarietà per un futuro più giusto e attento a chi resta indietro.