Le turbolenze dello spread hanno parzialmente oscurato due lutti che hanno colpito la settimana scorsa due famiglie leader del made in Italy. A Treviso si celebra il funerale di Gilberto Benetton, 77 anni, l’anima finanziaria del gruppo scomparso poche settimane dopo il fratello Carlo, il tecnico che ha gestito per anni la produzione del tessile abbigliamento. Si è chiusa così una straordinaria vita da manager-imprenditore, cominciata nel 1965, agli albori del decollo del miracolo veneto. Quasi in contemporanea, l’Italia della moda si è fermata per ricordare Wanda Ferragamo, 96 anni, che nel 1960 aveva preso in mano le redini dell’azienda fondata nel 1938 dal marito Salvatore, un artigiano di talento. Una tragedia perché la signora Wanda, napoletana di umili origini, 38 anni all’epoca, sei figli da crescere (tra i 2 e i 17 anni), si ritrovò da sola alla testa dell’impresa creata dal marito, calzolaio di talento più che uomo d’affari. “Chissà che fine avremmo fatto – ha commentato parlando al Financial Times il figlio Ferruccio,73 anni – se fosse mancata mamma e non papà”. 



La scomparsa della signora Wanda, che fino a pochi mesi fa si è recata tutti i giorni al quartier generale della maison in via Tornabuoni, è stata, con il cinismo tipico dei mercati, accompagnata dal forte rialzo (+7,7%) del titolo in Borsa. Gli operatori, nonostante le smentite, sono convinti che gli eredi di un impero che vale 3,5 miliardi di euro cederanno alle lusinghe di qualche colosso della moda, forse francese o americano. Non è escluso, però, che arrivi dall’Asia, il mercato che più apprezza le creazioni della griffe.



Meno tristi gli addii che, dall’estate a oggi, hanno accompagnato l’uscita di scena di alcuni protagonisti dell’Italia del boom. La famiglia Fumagalli, dal 1946 alla guida della sua creatura, l’impero del bianco Candy fondato dal nonno Beppe, ha ceduto il controllo ai cinesi di Hayer che ha eletto, per ora, Brugherio quale sede europea di un gruppo che punta alla leadership in un settore, il “bianco”, ove fino a pochi anni fa l’italiano (Zanussi, Zoppas, Indesit, Ariston) era la lingua di riferimento. 

Gli svedesi di Fagerhult si sono invece assicurati il controllo di iGuzzini, la ditta della famiglia marchigiana leader mondiale nel design dell’illuminazione. Non si è trattato, per la verità, di una semplice cessione. Tip, la finanziaria di partecipazioni industriali creata da Gianni Tamburi, ha compiuto una grande ristrutturazione mettendo ordine tra i vari rami familiari e garantendo così il necessario spazio d’azione all’amministratore. Poi si è presentata l’occasione di accasare iGuzzini, che manterrà l’attuale staff al vertice, con un partner internazionale. Intanto prende casa a Parigi l’unica azienda leader a livello mondiale dell’industria italiana: Luxottica confluisce sotto le insegne di Essilor. Certo, in questo caso non è una cessione. Al contrario, Leonardo del Vecchio, arzillo ex Martinitt che ha passato gli ottanta, si accinge a presiedere un quasi monopolio mondiale. Ma il baricentro del gruppo, quotato a Parigi, si sposterà verso la Francia. E così via, senza trascurare le operazioni più note, dalla vendita di Versace all’americana Michael Kors alla cessione di Magneti Marelli a Calsonic Kansai.



Insomma, un flusso che non accenna a calare. Anche perché, ahimè, il capitalismo italiano è lo specchio di una società che invecchia: secondo una ricerca della Bocconi, un quarto circa degli imprenditori di prima generazione ha più di 70 anni, la metà più di 60. E tra i miliardari che si sono fatti da sé dominano le volpi grigie: Giorgio Armani, 84 anni, Silvio Berlusconi 82, Patrizio Bertelli 72 e Miuccia Prada 69. Diego Della Valle di Tod’s fa la figura del ragazzino: solo 64 anni. Insomma, all’origine della crisi del Bel Paese non c’è solo lo spread o i vincoli alla crescita posti dalla finanza.