Vincenzo Boccia è un signore nato a Salerno, figlio di un comunista. È mai possibile che nel suo petto batta un cuore salviniano? Per carità, tutto è possibile. Ma verosimile, no. La polemica è stata aspra con l’ex ministro pariolino Carlo Calenda, già uomo Ferrari di osservanza montezemoliana, nato bene da una grande regista come Cristina Comencini, col nonno materno Luigi che l’aveva fatto lavorare nel suo sceneggiato televisivo “Cuore”, nella parte dell’io narrante, Enrico Bottini, e con la nonna materna principessa siciliana, Giulia Grifeo di Partanna, e il nonno paterno consigliere del Quirinale con il presidente Pertini. Nato bene, nato snob, nato saccente. Il papà di Vincenzo Boccia, invece, stampava a Salerno nel ’79 i fascicoli de “La Voce della Campania”, gloriosa e smilza pubblicazione quindicinale di una cooperativa finanziata dal Pci, e aveva messo su metro quadrato dopo metro quadrato un’azienda che oggi fattura una quarantina di miliardi e – miracolo! -sta in piedi dopo lo tsunami della stampa… Altra pasta, calli alle mani, self-made-man sul serio.
È stata una polemica aspra, ma solo per la gioia di Twitter, perché se la Confindustria conta poco, Calenda conta zero. Quando Boccia, in una delle sue apparizioni recenti dopo l’estate, ha dichiarato che “Di questo governo crediamo fortemente nella Lega, è una componente importante, qui non si tratta di regionalità ma di risposte vere ai cittadini”, parlando poi della Lega in termini di “grandi aspettative, altissime non solo alte”, Calenda si era indignato. Proprio indignato! Da tecnico prestato alla politica, l’ex ministro dello Sviluppo economico se n’è semplicemente “andato di testa”, come si direbbe a Salerno (che, attenzione, non significa “impazzito” ma “euforizzato”!), perché capendoci qualcosa di gestione industriale – niente che sia da Premio Nobel ma un po’ di pratica sì – nei saloni del ministero di via Veneto si è sentito un “monoculo in terra caecorum”, e s’è convinto di essere molto più bravo di quanto non sia. Ma fin qui, ci sta. Il guaio è che, nella dissoluzione galoppante del Pd, nello sfacelo comportamentale, ideologico, morale ed elettorale del partito indotto dalla hybris di Matteo Renzi, Calenda – turbo-convintosi di essere l’unico bravo in mezzo a tanti deficienti – ha deciso di dover dare lui la nuova vita al Pd, e ha cominciato ad agitarsi, esternando a nastro, con un effetto un po’ comico, perché l’insieme del suo tratto – le cose che dice, il modo in cui le dice, il tono che usa – unito alla totale mancanza di una qualsiasi base di consenso, rendono questo suo fuoco di fila più comico che fallimentare. Però, nella politica-spettacolo dell’era social, le sue esternazioni rimbalzano e fanno notizia e diventano pane per Crozza (“Calenda faceva piangere l’Italia da piccolo con Cuore, figurati adesso che è grande”).
E dunque quando legge le esternazioni di Boccia sulla Lega, Calenda si indigna e lo attacca: “Vergognoso!”, tuona: “La Confindustria è ufficialmente leghista. Chissà se le imprese credono anche nel piano B, nel trasformare l’Italia in una democrazia illiberale, nello spread fuori controllo ecc. Mai un Presidente aveva fatto un endorsement così a un partito politico. Vergognoso”. Ora, uno che è stato scelto da Luca di Montezemolo per lavorare in Ferrari, poi per fare il partito “Italia Futura”, poi per fare il direttore generale al Consorzio Cis di Nola, di vergogne dovrebbe averne conosciute qualcuna, se solo avesse studiato la biografia del suo capo, quando – come ha raccontato in numerose occasioni, e anche in video, Cesare Romiti – venne “pescato, in Fiat, a pretendere soldi per presentare qualcuno all’Avvocato. Uno dei due l’abbiamo mandato in galera, l’altro alla Cinzano”, ed era Montezemolo.
Ma cosa vorranno mai dire, simili dettagli, di fronte al furore politico del sedicente rifondatore del Pd? Calenda vuole insegnare a Boccia come si presiede la Confindustria. E allora ripartiamo da qui.
Boccia lo sa, come si presiede una Confindustria devastata da alcune gestioni precedenti tutt’altro che brillanti tra le quali proprio quella del maestro di Calenda. Si presiede la Confindustria cercando di difendere, con essa, i legittimi interessi delle imprese associate e, insieme, quelli che – in buona fede, si spera – si considerano gli interessi del Paese. E se Boccia ha richiamato la Lega di Salvini a un ruolo di responsabilità nella difesa delle norme più utili alle imprese, l’ha fatto in questo senso e in questi limiti, sulla base oggettiva del fatto che in Lombardia e nel Veneto, due regioni dalle quali nasce il 35% del Pil nazionale, la Lega governa da tempo in buona sintonia con gli industriali e con le loro istanze. Tutto qui.
Boccia, raggiunto da quell’epiteto di “vergognoso”, ha giustificatamente rinunciato a un solitamente encomiabile aplomb e si è fatto sfuggire una battutaccia contro Calenda, sottolineando la pagliacciata della cena dei rifondatori piddini, sbandierata ai quattro venti e miseramente fallita (“Non è stato nemmeno capace di organizzare una cena…”). E poi, attraverso il Centro studi di Confindustria, ha mandato un altro messaggio al Governo, stavolya sostanzialista: “Sì allo sforamento del deficit se porta crescita”: ed effettivamente la crescita arriva dagli investimenti, nervo scoperto della coalizione giallo-verde, in cui i leghisti, appunto, investirebbero volentieri nelle infrastrutture carenti, mentre i grillini appena vedono un sacco di cemento si mettono a urlare dallo spavento. Quindi ancora una volta: più un avvertimento che un complimento…
Dunque non ci sono due Confindustrie, una di lotta e una di governo. Ce n’è una sola, che fa il suo mestiere, la “rappresentanza”, cosa che in varie altre passate gestioni aveva talmente trascurato da determinare una discreta emorragia di iscritti, ora arrestatasi. Tutto qui.