Ma perché settecentomila imprenditori del commercio, del turismo e dei servizi non trovano di meglio, nel 2015, per farsi rappresentare, di un distinto signore di 78 anni come presidente, Carlo Sangalli; e per far dirigere la loro associazione di un personaggio come Francesco Rivolta, condannato per concussione a 4 anni e 8 mesi nel luglio del ’97? La situazione in cui versa oggi la Confcommercio legittima questa domanda, al di là delle polemiche, degli scontri delle ultime settimane e dei piccanti condimenti di cronaca.
Il tentativo di mandare a casa anzitempo – si fa per dire, visto che oggi ha 81 anni – l’attuale presidente Carlo Sangalli per comportamenti eticamente discutibili legati a un’opacissima accusa di molestie mossagli da una dipendente e da lui fieramente respinto è fallito. Il licenziamento del direttore generale Francesco Rivolta, deciso da Sangalli tre mesi fa, è stato confermato. Quindi tutto si direbbe normalizzato.
L’uscita di Rivolta è sicuramente, per la Confcommercio, una buona mossa perché – lasciando ovviamente ai magistrati le valutazioni su eventuali aspetti penali della faccenda – è chiara una cosa, sul piano etico: mentre i comportamenti addebitati a Sangalli sarebbero esecrabili se veri, ma lui li smentisce, non è smentibile che il vecchio boiardo si sia lasciato indurre a comprare il silenzio dell’accusatrice – poi naturalmente non mantenuto! – con una lauta dazione di denaro, notarilmente certificata, alla quale si è prestato a fungere da testimone proprio Rivolta. Quindi che Sangalli sia colpevole è incerto, perché non tutti coloro che cedono a un ricatto sono davvero colpevoli; ma che il ricatto ci sia stato, e che il frutto del ricatto sia stato intascato, e che qualcuno si sia prestato a testimoniare è tutto vero, e ben venga quindi la sanzione contro il testimone del ricatto. Se non si fosse trattato di ricatto, la strada maestra per la “molestata” e il suo patrono sarebbe stata quella che lo stesso Rivolta predica ai suoi iscritti contro le minacce del racket: una bella denuncia alla magistratura per molestie sessuali contro Sangalli. E invece…
Ma dopotutto, e all’inizio di una fase di incertezza e di debolezza oggettive per il vertice di Confcommercio, resta lo sconcerto per l’evidente inefficienza dei criteri di selezione dei propri vertici che una categoria essenziale per l’economia italiana adotta. Chi ha un briciolo di memoria ricorderà che la Confcommercio è uscita fiaccata, tredici anni fa, da ben altro scandalo. Dalle cui macerie proprio la presidenza Sangalli è riuscita a risollevarla. Fino a questi giorni.
Nel 2005 l’allora presidente della Confcommercio Sergio Billè dovette infatti rinunciare alla progettata riconferma perché travolto dallo scandalo dei “furbetti del quartierino”, tra Stefano Ricucci e Giampiero Fiorani: “Ricucci, avendo comprato da Gianpiero Fiorani per 12,5 milioni di euro un immobile in via Lima a Roma – annota Giorgio Dell’Arti nel suo sito di biografie Cinquantamila – lo rivendette 52 giorni dopo alla Confcommerico di Billé per 60 milioni, facendosi rilasciare subito un anticipo di 39 milioni. I soldi furono versati a una società delle Isole Vergini (la Garlsson) e secondo i magistrati servirono a finanziare le scalate di Ricucci. Billé attinse per il pagamento a un conto riservato del presidente della Confcommercio di cui fino a quel momento non si era avuta notizia. Finì agli arresti domiciliari con l’accusa di corruzione. Nel 2008 è stato rinviato a giudizio insieme a Ricucci e altri sette (tra cui il figlio di Billé, Andrea) coinvolti nella scalata a Rcs, e assolto nel 2011”. È stato invece condannato “a tre anni per corruzione nel caso Enasarco: nel 2005 Ricucci aveva promesso 50 milioni per ottenere, al termine di una gara truccata, il servizio di gestione e valorizzazione del patrimonio immobiliare Enasarco. Suddivisione della tangente: per il 40% a Donato Porreca, presidente dell’Enasarco e presidente della Commissione che gestiva la gara, per il 20% al mediatore Fulvio Gismondi, per il 40% allo stesso Billé. Tutti condannati. La pena è interamente condonata per effetto dell’indulto”.
Ecco: questi precedenti gravano sulla storia di Confcommercio. Per uscirne davvero, per recuperare credibilità, l’organizzazione dovrebbe diventare una casa di vetro. Potrebbe provarci d’ora in poi. Ma con una probabile e a questo punto auspicabile decurtazione di potere: cioè senza più detenere il controllo di fatto dell’Enasarco. Già: perché sia la brutta storia di Billè, sia le polemiche sull’attuale vertice finiscono sempre col ricollegarsi con la gestione del “tesoro” degli agenti rappresentanti, la cassa previdenziale privata Enasarco, forte di un patrimonio di 7 miliardi di euro e di oltre 230 mila assistiti.
Enasarco è attualmente affidata a un vertice espresso, nella persona di Gianroberto Costa, proprio da Confcommercio, di cui Costa è stato stimato dirigente. Un vicepresidente è indicato da Confindustria, un altro ancora da Confcommercio. Nella pretattica in corso in vista delle elezioni 2019 all’Enasarco, il peso della maggioranza potrebbe spostarsi nelle mani di un raggruppamento diverso, che metterebbe d’accordo contro Confcommercio tutti gli altri: Confesercenti e Anasf (l’associazione dei consulenti finanziari) in particolare. E senza dubbio il ricambio, dopo tanti anni complicati e torbidi, sarebbe auspicabile.
Ma cosa c’entra il caso Sangalli-Rivolta con le prospettive di Enasarco? C’entra, perché la Cassa è ancora oggetto di inchieste giudiziarie legate alle polemiche dimissioni, nel 2013, dell’ex vicepresidente Andrea Pozzi, designato nel ruolo proprio da Sangalli, allo scopo di marcare stretto l’ex presidente di Enasarco Brunetto Boco, espressione Uil, e il suo ex direttore Roberto La Monica, che secondo Pozzi – firmatario di dettagliate denunce alla Procura – hanno condiviso scelte di investimenti e di gestione molto discutibili e comunque foriere di cattivi risultati. Ma la gestione Boco-La Monica era sempre stata fortemente sostenuta proprio da Rivolta, che del resto viene citato nei documenti prodotti da Pozzi a supporto delle sue critiche gestionali e delle sue denunce come un vero co-regista della cattiva gestione Enasarco.
Interessante rievocare un precedente preciso nella lunga carriera politica dell’ormai ex direttore generale di Confcommercio: “Il caos scoppiò tra giovedì 18 e venerdì 19 giugno ’92. Quella notte ci fu una maxi retata delle forze dell’ordine, su mandato del Procuratore Capo Salvatore Cusumano, un magistrato efficiente e coraggioso”, racconta in un’intervista Romano Bonifacci, ex cronista dell’Unità, considerato “l’archivista” di Tangentopoli: “Furono arrestate 25 persone fra cui sei importanti politici monzesi: Claudio Teruzzi, vicesindaco della città e gli assessori Giuliano Salvi e Francesco Ironico, socialisti del Psi, l’assessore Dc Paolo Meregalli, Filippo Apicella e Francesco Rivolta, consigliere regionale lombardo. Insieme a loro funzionari, portaborse e imprenditori”. Per Rivolta, la condanna ci fu, per concussione, a 4 anni e 8 mesi, confermata in cassazione nel luglio 1997.
Ora: per quanto gli archivi giudiziari siano pieni di errori giudiziari e nulla in linea di principio possa escludersi, resta valida la domanda: è proprio necessario – anzi: è mai possibile – che la Confcommercio abbia per anni ritenuto di doversi avvalere dei servigi di una persona con simili precedenti? Non che è un precedente penale debba risolversi in un embargo a qualsiasi successivo impegno e risultato, ma il più banale principio di opportunità avrebbe dovuto suggerire altre scelte.