Il mondo scorre così velocemente che nessuna azienda è in grado di poter correre a questa velocità. Le nuove tecnologie nascono, mutano, progrediscono e muoiono a una velocità mai vista finora e rincorrerle ci metterà nell’unica posizione possibile: quella di perdenti. Per affrontare questa nuova sfida, che non ha religione, bandiera o lingua, ma semplicemente veste la maglia del progresso globalizzato, è necessario cambiare punto di vista e sistema: non si può più semplicemente rincorrere, bisogna fare uno sforzo per stare avanti. Dobbiamo diventare noi il motore del cambiamento e non esserne succubi, in modo da poterlo utilizzare per raggiungere i nostri obiettivi. Questo approccio è applicabile a qualsiasi ambito della quotidianità, ed è l’unico possibile quando ci approcciamo alla tecnologia.



Siamo nel 2018 e posso sostenere con forza e cognizione di causa che tutto sia veramente possibile grazie alle tecnologie digitali, basta volerlo, e inserirlo in un processo che sia sostenibile dal punto di vista economico, ambientale e umano. La domanda, arrivati a questo punto, potrebbe essere: “Sì, ma da dove comincio?”. E la risposta è: “Dall’ammettere di avere dei limiti”. È impossibile per una sola persona o azienda poter avere in mano tutte le leve e le possibilità tecnologiche del mondo. Per tale motivo un insieme di persone, gruppi formali o costituiti occasionalmente, associazioni culturali o qualsiasi altro modo di aggregazione è fondamentale, ed è e l’unica via per poter competere in questo mondo globalizzato. È solamente grazie alla contaminazione che si può ottenere dentro questi gruppi che le innovazioni vedono la luce e le tecnologie vengono modificate. Tutto nasce dalla differenza, motore della contaminazione e forza generatrice dell’innovazione. Per questo è fondamentale che i gruppi siano composti da persone con skills totalmente differenti.



Com’è stato scritto in un grande libro – Dove nascono le grandi idee di Steven Johnson -, dobbiamo cercare di ricreare un ambiente favorevole a questo scopo e poi lì, a volte anche in maniera serendipitosa, l’innovazione esce e cambia il mondo. La vera domanda quindi è: “Come ricreare questo ambiente fertile? Di quali tecnologie ho bisogno, di quali persone, dove posso trovarle?”.

È cercando di rispondere a questa domanda che sono arrivato a fondare un’associazione culturale dal nome Xfactory. Un luogo che vuole diventare culla di idee e innovazione, senza colore, bandiere e se possibile senza un proprietario. La Xfactory vuole essere una porta sul tuo adiacente possibile: quello che c’è, che esiste, ma che, per tantissime ragioni, non riesci ancora a vedere. Ecco, qui tutto è possibile. Se lo puoi immaginare, esiste, lo puoi fare e la natura lo avrà già fatto.



Un ultimo pensiero, che formulo sotto forma di domanda sul futuro. Se quanto scritto sopra è vero (e, basandomi sulla mia esperienza posso assicurarlo), le associazioni culturali dovrebbero essere quei luoghi di aggregazione che non hanno lo scopo di fare business, avendo nelle aziende “il braccio” per farlo, grazie all’innovazione generata. E quindi, non sarebbe un guadagno per tutti se le associazioni culturali diventassero il fondamento di ogni nostra azienda? A noi la riflessione.