Oltre due milioni e mezzo di bottiglie all’anno, con un export che sfiora il 50% e copre oltre 40 Paesi, dalla Germania agli Usa, dal Giappone al Regno Unito alla Cina, Danimarca, Libano e Australia compresi, mantenendo però ogni giorno i piedi nei vigneti. Le Cantine Librandi sono protagoniste assolute e pioniere della nuova enologia calabrese, da decenni nel gruppo di punta del panorama meridionale e, fra le italiane, nel novero di quelle conosciute in tutti i continenti.
Nata negli anni Cinquanta, con impegno e passione, e la pazienza e la tenacia di chi lavora in vigna, l’azienda ha una storia ancora più lunga, cominciata un secolo fa. La raccontano i filari che ricoprono oggi gli oltre duecentotrenta ettari vitati di proprietà e la cantina che come poche altre è in grado di interpretare tradizione vignaiola, costanza qualitativa e grandi numeri, trasformandoli in emozioni.
Cinque bianchi, due rosati, cinque rossi, due spumanti Metodo Classico e un passito: la gamma delle quindici etichette Librandi è frutto di un impegno, rigoroso e continuo, mirato al raggiungimento del massimo livello di qualità. Mai subordinato al marketing o ad assecondare le mode del momento, il lavoro dell’azienda è orientato a perseguire la ricerca applicata (parti notevoli dei vigneti delle tenute sono considerati veri e propri laboratori a cielo aperto). Per coniugarla, però con la conoscenza e l’eccellenza qualitativa, col rispetto per le vigne e le loro tradizioni storiche e per le uve, il vino e i consumatori.
Due fratelli, Tonino, venuto a mancare nell’ottobre 2012, e Nicodemo, attualmente presidente della Librandi Holding, gli artefici del successo. Per decenni sono stati un’affiatatissima coppia di capitani coraggiosi dell’imprenditoria agricola meridionale. Fiutando con largo anticipo la storia dell’enologia del Sud, hanno contribuito a farla. I Librandi non rappresentano soltanto un capitolo importante della storia del lavoro nel ‘900 calabrese, ma anche un bell’esempio di azienda di famiglia all’italiana.
A reggere le redini dell’impresa sono ormai i figli di Nicodemo, Raffaele e Paolo e di Tonino, Francesco e Teresa. Nicodemo Librandi non è solo la figura più autorevole e la memoria storica. Poco più che settantenne, ha percorso e percorre le strade più innovative legate alle tecniche viticole e alle ricerche d’avanguardia anche con l’obiettivo della sostenibilità ambientale. Se è importantissimo il suo impegno nella riscoperta di secolari vitigni autoctoni perduti, oggi è al fianco degli studiosi che lavorano al miglioramento, per selezione genetica naturale, dell’uva tradizionale del Cirò e della Calabria, il gaglioppo.
“È dal 1993 – spiega – che siamo impegnati con notevoli risorse umane ed economiche al recupero, allo studio ed alla valorizzazione di tutto il patrimonio vitivinicolo locale. Un’attenzione particolare, naturalmente, l’abbiamo rivolta al gaglioppo. E così abbiamo conseguito un esito direi ‘storico’: i primi cloni calabresi di gaglioppo finalmente compaiono nel Registro nazionale del Ministero delle Politiche Agricole, con tanto di decreto ministeriale pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale (la n.127 del 4-6-2014) e con questi anche altrettanti cloni di magliocco e due di pecorello. È il frutto di un grande lavoro di selezione clonale avviato in casa Librandi in collaborazione con il Cnr di Torino (Istituto di Virologia vegetale del Cnr-Unità di Grugliasco). Grazie agli sviluppi delle ricerche da noi promosse, i vitigni tipici della Calabria sono stati esattamente individuati, catalogati, nominati e definiti nella loro precisa identità, altri sono usciti dall’anonimato. Abbiamo compiuto un importante passo avanti che non riguarda solo noi. Perché i cloni registrati portano il nome ‘Librandi’, ma sono già disponibili per tutti i viticultori presso i Vivai Cooperativi Rauscedo. Direi che i risultati ottenuti hanno superato ogni più rosea aspettativa”.
Il futuro dell’enologia calabrese, Librandi ne è convinto, va trovato, insomma, nei suoi vitigni più antichi. “Questa è una terra che sin dall’antichità è sempre stata particolarmente vocata per la viticoltura – sostiene. Qui si ottengono grandi vini sia da vitigni ‘stranieri’ che autoctoni. Sicuramente per competere nell’attuale mercato globale dobbiamo concentrare la nostra attenzione sui nostri vitigni che sono tanti, capaci di dare vini originali, unici e tipici, in grado di destare curiosità ed attenzione fra i consumatori moderni dal gusto non omologato”.
(Gianfranco Manfredi)