Alla fine venne il giorno delle Assise: 7 mila industriali provenienti da tutta Italia riuniti a Verona per rifinire e presentare al Paese un piano a cinque anni con quattro obiettivi sensibili: una crescita del Pil di quasi il 12 per cento, più di 1 milione 800mila posti di lavoro, una discesa del debito sul Prodotto interno lordo del 21 per cento, un incremento dell’export di poco meno del 23 per cento. Quattro obiettivi che sarà possibile raggiungere reperendo tra risorse europee (93 miliardi), pubbliche italiane (120) e private (30) un tesoretto di 250 miliardi da investire in sei direzioni distinte ma collegate per rendere il Paese più competitivo e appetibile sia per i capitali interni che per quelli internazionali. Un Paese più moderno, più efficiente, più facile da vivere.



Per prima cosa, dunque, un invito pressante a sciogliere i nodi di una burocrazia attestata su posizioni di retroguardia mentre le imprese hanno accolto e avviato la rivoluzione 4.0 che le sta radicalmente cambiando. Dai rapporti con lo Stato a quelli con gli enti locali, dalla velocità della giustizia all’eccesso di regole che confonde e paralizza, il campo di azione è molto ampio. Quindi una rinnovata attenzione alla scuola e alla formazione, dentro e fuori le fabbriche, perché nulla è più come prima e sempre meno lo sarà in futuro. Un particolare riguardo è riservato agli Istituti tecnici superiori (gli Its) che non devono essere più considerati come soluzioni di ripiego, ma alternative a tutto tondo in un mercato che richiede specialisti competenti.



Un capitolo fondamentale è riservato alle infrastrutture, nota dolente da Nord a Sud, da non considerare unicamente come precondizioni dello sviluppo, ma anche nel ruolo sociale che consente di collegare tra loro territori lontani, città a città, centri a periferie, l’Italia al mondo. In evidenza le molte criticità collegate al nuovo codice degli appalti per il quale si richiedono modifiche.

Ce n’è anche per le imprese che stanno sì cambiando, ma che devono accelerare la corsa e, soprattutto, diventare sempre più numerose e grandi. La sfida dei tempi nuovi richiede un diverso approccio nella gestione: apertura a capitali terzi, partecipazione a filiere internazionali, ricerca dell’eccellenza in tutte le funzioni aziendali: produzione, finanza, organizzazione, marketing. 



Un’attitudine radicalmente rinnovata è richiesta al fisco che dev’essere visto come un fattore di competitività e non solo un fardello dal cui peso fuggire. Al centro della proposta c’è la riduzione del carico per imprese e lavoratori con benefici riservati totalmente ai secondi che potranno così veder lievitare il loro potere d’acquisto a vantaggio loro e dell’intera economia.

Anche l’Europa dovrà giocare la sua parte diventando il miglior luogo dove fare impresa in un mondo dominato da potenze come Stati Uniti, Cina, Russia, India. Per riuscire sarà determinante procedere spediti lungo il cammino della coesione, magari partendo da un ministro unico delle Finanze che abbia la possibilità di emettere eurobond per finanziare progetti comuni.

Insomma, un progetto organico di politica economica che individua obiettivi strumenti e risorse per un confronto largo con tutti i partiti e con le forze che saranno chiamate a governare il Paese dopo il voto del 4 marzo. Una voce forte e chiara che il presidente di Confindustria Vincenzo Boccia fa sentire a nome del popolo dei produttori, veri innovatori di ogni sistema.