La prima stima Istat del Pil 2017, attorno all’1,4% più del 2016, delude un po’ le attese di una crescita più robusta in un momento di boom globale. E, soprattutto, getta un’ombra sulle stime del Pil 2018, recentemente aggiornate al rialzo verso l’1,5%. La ripresa economica è troppo poca e lenta, pur in condizioni favorevoli: esportazioni al massimo grazie al traino globale, con l’effetto di moltiplicare gli investimenti industriali interni anche spinti dall’incentivo fiscale 4.0, e protezione del debito eccessivo da parte del programma straordinario di acquisto da parte della Bce. Cos’ha impedito all’Italia di fare più crescita, al netto dell’effetto ritardante della troppo lenta riparazione del sistema bancario?
La mancanza di investimenti pubblici sufficienti, di una detassazione generalizzata su imprese e famiglie e l’allocazione improduttiva di denari fiscali. Ciò ha mantenuto depresso il mercato interno. Il gap di investimenti e stimolazioni fiscali dipende dal fatto che lo Stato deve pagare un’enorme somma ogni anno per interessi sul debito, nel 2017 circa 66 miliardi, e dalla preferenza politica del governo a mantenere tanta spesa pubblica inutile. Questa è perfino aumentata nell’ultimo semestre per scopi elettorali, con anche la complicazione di una preferenza clientelare a scapito dell’efficacia sociale, per esempio più soldi a più dipendenti pubblici, ma meno ricerca e assistenza medica. Se a questa figura si aggiunge quella di un debito pubblico arrivato nel 2017 a 2.275 miliardi dai 2.218 del 2016 emerge chiaramente l’immagine di un sistema economico che brucia cassa ed è disordinato.
In sintesi, l’Italia cresce poco perché il suo mercato interno è frenato da un drenaggio fiscale eccessivo e da un impiego improduttivo delle risorse fiscali. Appare evidente l’inefficacia di una politica basata sull’idea che non sia necessario fare grandi cambiamenti per ridare forza all’economia. Il dato che mostra una lentissima discesa della disoccupazione dall’11,70% del 2016 al 10,60% del 2017 è la prova di un sistema troppo rigido. Senza grandi cambiamenti non potrà crescere.
Il primo da mettere in priorità è tagliare rapidamente parte del debito vendendo un’aliquota del patrimonio pubblico (650-700 miliardi disponibili) allo scopo di risparmiare almeno dai 15 ai 20 miliardi anno su quei 66 di spesa per interessi detti sopra, peraltro prevista in pericoloso aumento dal 2019, e usare questo risparmio per ridurre le tasse e finanziare il futuro invece del passato, come ora.