Si avvicinano le Assise generali di Confindustria (venerdì 16 febbraio a Verona) e si va sempre meglio profilando il progetto che l’organizzazione guidata da Vincenzo Boccia presenterà agli interlocutori politici che avranno il compito di governare il Paese dopo le elezioni del 4 marzo. Conseguenza, soprattutto, dei tredici appuntamenti sui quattordici programmati (l’ultimo si svolgerà a Pordenone martedì 6 febbraio) che hanno avuto una fondamentale funzione di ascolto dovuta alla partecipazione di migliaia di imprenditori e alla raccolta di centinaia di idee.



Al centro dell’attenzione resta con sempre maggiore convinzione la creazione di lavoro, soprattutto giovanile. È questo l’obiettivo da raggiungere se davvero si vuole formare una società più giusta e inclusiva dove i nemici da combattere sono disuguaglianze e povertà. La precondizione di tutto questo è la crescita, che dovrà servire a ridurre il debito e restituire alla politica i margini di manovra che oggi mancano per abbattere le tasse – in particolare al popolo dei produttori – e favorire l’innalzamento domanda attraverso il maggiore potere d’acquisto.



Tra i tanti possibili motori dello sviluppo due sono stati individuati come centrali e trainanti: l’industria della sanità e quella delle infrastrutture. In entrambi i casi ci troviamo di fronte ad ambiti trasversali, in grado di giocare un ruolo largo e profondo attivando investimenti utili a competere.

Nel primo caso (sanità) proprio nella settimana che si chiude c’è stata la presentazione al pubblico dell’accordo tra i diversi attori del sistema – Aiop, Assobiomedica, Farmindustria, Federchimica e Federterme – che hanno deciso di marciare uniti per estrarre efficienza e valore. Nel secondo (infrastrutture) un confronto tra Boccia e il ministro Graziano Delrio ha chiarito che il Paese ha bisogno di essere più e meglio connesso al proprio interno e verso l’esterno perché smetta di essere percepito come periferia d’Europa e acquisisca la centralità che la posizione gli attribuisce.



Sono molti gli ostacoli da superare – farraginosità burocratica, incertezza delle regole, conflitto tra centro e territori -, ma c’è un punto che assume un’urgenza particolare: il tempo che mettiamo per progettare e realizzare le opere. Si sa quando si comincia e mai quando si finisce. Insomma, per acquistare la competitività che serve al Paese per non perdere le posizioni acquisite come seconda manifattura d’Europa e tra le prime del mondo c’è bisogno di un grande sforzo per renderlo più semplice e reattivo: più facile da usare, per ricorrere a un’espressione americana.

Dev’essere chiaro a tutti che le imprese sono gli attori della crescita e del cambiamento. Che chi è contro le imprese e una sana politica industriale è di conseguenza contro il Paese. Che la buona salute delle imprese è l’unica risposta possibile all’ansia delle famiglie. Non è più tempo e non c’è più spazio per sterili contrapposizioni. Coesione, inclusione e collaborazione sono i termini di una nuova alleanza che miri al benessere di tutti. Prima impareremo a usarli prima arriveremo in quel futuro che ci aspetta ma non per sempre.