Si chiama Bramini, ma di “casta protetta” ha soltanto il cognome, perché lo Stato lo sta trattando come un paria. Però l’imprenditore monzese Sergio Bramini, costretto al fallimento da una serie di mancati pagamenti da parte di enti pubblici per conto dei quali raccoglieva rifiuti, oggi è qualcosa di più: sta diventando un caso politico, e trovandosi accanto Lega e Cinquestelle, ma nessuno degli altri partiti un tempo “maggiori”, è anche la cartina di tornasole del perché sono stati questi i due schieramenti a vincere le elezioni del 4 marzo, e non la vecchia o la nuova sinistra. Perché i tanti casi Bramini degli ultimi anni, gli anni della crisi, hanno fatto pensare a molti cittadini, giusto o sbagliato che fosse, che a difendere gli ultimi o comunque i più deboli, ci siano ormai soltanto i partiti snobbati dai giornaloni e dai benpensanti in quanto colpevoli di populismo.
Ma vediamo se è per populismo che Bramini viene difeso o, piuttosto, per una sacrosanta reazione a un surreale e ignobile cortocircuito burocratico-giudiziario che si è stretto al suo collo di imprenditore come una morsa. Dunque Bramini ha commesso, molti anni fa, l’imperdonabile errore di infilarsi con la sua impresa in un settore dominato dalla clientela pubblica: comuni, province, Regioni. Nel suo caso, alcuni grandi clienti hanno iniziato a rinviare i pagamenti sempre di più, finché hanno smesso del tutto di pagare e per questi ammanchi Bramini è stato costretto al fallimento.
La procedura si è svolta in un modo a dir poco sorprendente. A fronte di 3.800.000 euro costituiti da crediti certi nei confronti dello Stato, il curatore ha deciso di transare a soltanto 438.000 euro, poi rimasti a disposizione dei creditori. Un introito irrisorio che non è bastato né a pagare i creditori, né tantomeno a salvare Bramini. Che a sua volta moroso nei confronti di propri creditori si è visto confiscare la propria casa di abitazione, mutuata per pagare gli stipendi, dalla quale il 16 aprile dovrebbe dunque essere sfrattato affinchè l’immobile possa poi essere messo all’asta, con la solita insensata procedura di super-ribasso, in base alla quale difficilmente potrà essere recuperato più del valore reale che si otterrebbe attraverso una procedura normale. Anzi: sarà molto se si otterrà un quarto di quel valore.
Nel disastro, la fortuna di Bramini è stata che il suo caso ha suscitato l’interesse delle Iene, il popolarissimo programma giornalistico di Italia Uno. Che ha dettagliato le tesi dell’imprenditore contro le scelte fatte dal curatore, denunciato alla magistratura, e ha addirittura chiesto risposte senza ottenerle al giudice fallimentare che non ha però autorizzato l’intervista e ha replicato con arroganza nei toni senza dire assolutamente nulla nel merito. Una procedura devastante per la vittima che non giova in alcun modo ai suoi creditori.
E qui veniamo a questo ruolo oggettivo di vigilanza sociale che, al di là di ogni considerazione che si possa fare sul loro conto, sembrano rivestire oggi i due partiti vincitori del 4 marzo. Un ruolo da paladini che indubbiamente attira consenso. Con una lettera al Prefetto di Monza, tre onorevoli leghisti e uno pentastellato – Emanuele Pellegrini, Massimiliano Romeo e Andrea Crippa da una parte, Alessandro Corbetta dall’altra – chiedono che lo sfratto di Bramini, previsto per il 16 aprile, venga rinviato “per salvaguardare l’ordine pubblico e permettere un decoroso e doveroso percorso che consenta a lui e alla sua famiglia di non perdere quella dignità che ogni cittadino deve poter mantenere sempre”. Nella nota gli esponenti leghisti fanno anche sapere che lunedì dalle ore 13 saranno a casa di Sergio Bramini in via Sant’Albino 22 a Monza per dare il massimo supporto umano alla vicenda dell’ex imprenditore. Corbetta poi avrebbe deciso di eleggere la casa di Bramini a proprio ufficio politico nel luogo di residenza, con ciò ponendola al riparo dalle procedure concorsuali.
“La vicenda di Bramini – spiegano Pellegrini, Romeo, Crippa e Corbetta, che sono di fatto una piccola ma efficiente “prova generale” delle intese faticosamente in maturazione sul piano politico nazionale – è vergognosa: siamo di fronte a un sistema che prima non paga i propri debiti agli imprenditori e poi li costringe a fallire, non facendosi scrupoli a sfrattare persone perbene dalla propria casa. (…) Vorremmo vedere questa stessa determinazione da parte degli organi dello Stato – concludono i leghisti – nello sfrattare gli abusivi e i clandestini che occupano le case popolari sul nostro territorio e non certo le famiglie oneste”.